Usa-Cina, la guerra è sui social. Ora Trump vuole vietare TikTok

Casa Bianca pronta a inserire l'app nella stessa lista nera di Huawei. Attacco a Hollywood e Big tech: servi di Pechino

Usa-Cina, la guerra è sui social. Ora Trump vuole vietare TikTok

La crisi tra Washington e Pechino, che negli ultimi mesi si era focalizzata sul Covid-19, si sta ora estendendo al mondo dei social e del cinema. In un colpo solo Donald Trump pensa di vietare TikTok negli Usa, così come ha ammonito il colosso Disney a uscire da una sorta di «servilismo» di stampo cinese. L'annuncio dell'inquilino della Casa Bianca arriva a breve distanza dalle parole molto simili pronunciate da Michael Pompeo. Il Segretario di Stato aveva infatti già anticipato come diversi funzionari degli Stati Uniti fossero a lavoro sul tentativo di bloccare l'applicazione, creata dal colosso cinese ByteDance Ltd, per proteggere i dati privati dei cittadini americani.

Le parole più dure e dirette sono quelle arrivate da Trump, che ha legato le sue accuse relative alla gestione del coronavirus da parte dell'esecutivo di Pechino alla necessità di tenere sotto controllo l'applicazione: «È uno dei tanti modi per colpire il governo di Pechino, colpevole di aver infettato circa 3 milioni di persone negli Stati Uniti e uccise oltre 130mila». In tutta risposta i vertici di ByteDance hanno negato ogni violazione, mettendo in luce il doppio nodo con cui la compagnia e la stessa app sono legate agli Stati Uniti. «TikTok è guidata da un Ceo americano, con centinaia di dipendenti e leader chiave che lavorano quotidianamente per la sicurezza, la privacy, i prodotti e le norme statunitensi. Non abbiamo fornito i dati degli utenti al governo cinese, né mai lo faremmo se dovesse esserci richiesto», ha spiegato il portavoce Che Hangzhi, ricordando che l'app ha assunto l'ex dirigente della Walt Disney Kevin Mayer come amministratore delegato lo scorso 20 maggio, garantendogli anche la carica di direttore generale di ByteDance. Secondo il colosso cinese, Trump vorrebbe cancellare TikTok al solo scopo di favorire lo sviluppo e la diffusione dell'americana Reels. L'app, ideata da Zuckerberg (e sulla rampa di lancio da agosto), appartiene a Instagram, ma si tratta di qualcosa in più di una semplice funzionalità che permetterà agli utenti americani prima, ma anche a quelli di altri 50 Paesi dopo, di poter provare a costruire una propria identità sociale come già fatto con TikTok.

Nell'occhio del ciclone è finita in queste ore anche la Disney. Il ministro della Giustizia William Barr, durante un discorso sulle politiche della Cina che ha tenuto ieri al Gerald Ford Presidential Museum del Michigan, ha accusato Hollywood e le aziende tecnologiche di essere troppo accomodanti con Pechino e il Partito Comunista Cinese. Barr, in accordo col presidente Usa, sostiene che «i vertici delle corporation americane dovrebbero stare più attenti, perché rischiano di essere strumentalizzati. Non è un mistero che Disney regolarmente censuri i suoi film per soddisfare il regime comunista». Nelle parole di Barr c'è un chiaro riferimento all'immimente uscita di Mulan. La pellicola, prodotta dalla Walt Disney Company, continua a essere al centro di una richiesta di boicottaggio dopo le dichiarazioni rilasciate dalla sua star Liu Yifei, riguardanti gli scontri di Hong Kong.

La 32enne attrice americana di origini cinesi, scelta per il ruolo della protagonista, aveva infatti a più riprese manifestato sui social il suo sostegno alla polizia di Hong Kong e al regime repressivo cinese, criticando aspramente le proteste degli studenti. «Evidentemente la signora Yifei si è fatta prendere la mano, non sa più distinguere la realtà dalla fiction», ha dichiarato ironicamente l'attivista Joshua Wong, leader delle proteste del 2014.

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