Un uzbeko dietro il sequestro-lampo del manager marchigiano in Russia

Arrestato l'uomo che, allontanato dall'azienda di Guidotti, l'aveva contattata per il riscatto prima della liberazione

Un uzbeko dietro il sequestro-lampo del manager marchigiano in Russia
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Una vicenda poco chiara, che per lo stesso procuratore capo facente funzioni di Bologna Francesco Caleca «ha dei profili di complessità e rarità abbastanza notevoli». Parliamo del rapimento lampo di un imprenditore italiano residente a Mosca, Stefano Guidotti, che il 28 giugno era stato catturato da una banda e tenuto in ostaggio per circa 36 ore prima di essere liberato dalle forze speciali russe il giorno successivo in una abitazione a 400 chilometri di distanza dalla capitale russa.

Nelle ore successive la polizia russa aveva arrestato i rapitori, quattro uomini tra i 21 e i 36 anni. E ieri i Ros dei carabinieri assieme allo Sco della polizia, sotto il coordinamento della Dda di Bologna, pm Beatrice Ronchi, hanno arrestato un uomo di origine uzbeka ma con passaporto russo di 44 anni che vive a Faenza dall'inizio della guerra in Ucraina e che sarebbe la mente del rapimento. L'uzbeko in passato aveva collaborato con la Siad, l'azienda di cui Guidotti è capo dell'ufficio di rappresentanza in Russia. «Tra i due c'era una conoscenza personale perché lavoravano per la stessa ditta», dice Pietro Chianese, legale difensore dell'uzbeko, che aggiunge: «Bisogna verificare bene i fatti, devo ancora avere gli atti ma non si tratta di un sequestro dove uno rapisce un altro per soldi, è in un contesto lavorativo da quanto ho capito. Bisogna capire come nasce. Il mio assistito non è un criminale che ha fatto un sequestro per soldi. Lui collaborava e faceva consulenze per la stessa azienda, probabilmente voleva essere pagato, da quanto ho intuito».

Lo straniero sarebbe stato allontanato dall'azienda per alcune divergenze avrebbe organizzato il rapimento per vendetta o forse per ottenere le sue spettanze. Ieri nel corso di una conferenza stampa indetta per rendere noti i dettagli dell'operazione, spiegato, Caleca ha spiegato che «una parte dell'azione si era sviluppata qui in Italia, esattamente nell'Imolese, dove era stata avanzata la prima richiesta di riscatto per la liberazione dell'ostaggio, non nei confronti della famiglia ma dell'azienda».

Gli investigatori, con l'aiuto del centro operativo per la sicurezza cibernetica dell'Emilia-Romagna, hanno scoperto che il cittadino uzbeko aveva effettuato la prima chiamata all'azienda di Guidotti per chiedere un riscatto, ancora non quantificato. Si era quindi incontrato per trattare con un manager dell'azienda, che però aveva avvertito la polizia. Nel frattempo la polizia russa aveva arrestato i sequestratori e liberato Guidotti.

E a proposito dei russi, il procuratore Caleca ha voluto sottolineare.

«In questa operazione ogni professionalità ha lavorato al massimo per ottenere questo risultato e anche grazie a loro si è avuta questa facilità di scambio con le forze di polizia e l'autorità giudiziaria russa, che in questo momento storico non è qualcosa di facilissimo, una cosa che mi ha favorevolmente impressionato».

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