Da Mosca arrivano minacce economiche su più fronti, uno spettro variegato di misure di ritorsione in risposta alla sanzioni occidentali che vanno dall'intenzione di rimborsare in rubli gli interessi sul debito al blocco dell'export di grano, fino alla punizione del fallimento inflitta alle aziende estere fuggite dal suolo russo dopo l'invasione dell'Ucraina.
Il rischio più immediato riguarda il pagamento, previsto per domani, di una cedola da 117 milioni di dollari. Con metà delle riserve valutarie bloccate, è probabile che il Cremlino non riesca a far fronte agli impegni finanziari verso gli investitori internazionali. Non a caso, sia le principali agenzie di rating sia il Fondo monetario internazionale parlano apertamente di default imminente. E a non a caso, il ministro delle finanze russo Anton Siluanov ha ieri subito messo le carte in tavola: «Se vediamo difficoltà con l'esecuzione di questo coupon, domani (oggi per chi legge) prepareremo un corrispondente ordine di pagamento in rubli equivalenti». Una mossa che condannerebbe però la Russia alla bancarotta tecnica e innescherebbe una crisi finanziaria globale e fallimenti a catena fra istituzioni, aziende, investitori esposti. Il titolo in questione (e altri di prossima scadenza) è stato infatti emesso prima del 2014, quando la restituzione degli interessi era consentita solo nella valuta di emissione. Lo stesso accadrebbe se in prima battuta venisse deciso di pagare la cedola in yuan, che nelle intenzioni di Siluanov è destinata a diventare moneta di riserva, soppiantando il dollaro e inclinando l'asse verso Pechino. «Lo yuan è una valuta di riserva affidabile - ha detto il ministro - e una parte delle riserve auree e valutarie è in questa moneta. Nelle relazioni commerciali con la Cina, utilizzeremo una quota delle riserve auree e valutarie denominate in yuan».
In linea teorica, Mosca ha tempo fino a metà aprile per saldare il dovuto nel caso decidesse di sfruttare i 30 giorni di grazia previsti dai contratti. Un mese di stallo durante il quale un accordo di pace con Ucraina potrebbe essersi già stato trovato.
L'impressione, tuttavia, è che gli uomini di Putin vogliano forzare la mano. Anche a costo di incorrere in ulteriori sanzioni, o di ripetere l'esperienza del crac vissuta nel 1998. Con la differenza, rispetto ad allora, che verrebbe a mancare la solidarietà internazionale sotto forma di aiuti dell'Fmi e delle principali banche centrali. Ma la logica delle azioni di rappresaglia economica non induce alla riflessione. Così, la Russia ipotizza anche di vietare fino al prossimo 30 giugno le esportazioni di grano, segale, orzo e mais. Mosca esporta oltre 40 milioni di tonnellate all'anno di grano (l'Italia stacca un assegno da 23,7 miliardi per l'approvvigionamento), e un blocco delle vendite manderebbe ancor più alle stelle quotazioni che dall'inizio del conflitto hanno già sfiorato aumenti del 40% concorrendo al surriscaldamento dell'inflazione.
Per le imprese straniere che
hanno chiuso i battenti con lo scoppio del conflitto si profila infine una procedura di fallimento entro 3-6 mesi. Siluanov è stato categorico: «Prevediamo l'amministrazione temporanea accelerata e la vendita delle società».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.