La verità sulla fine di Serena Mollicone "Testa sbattuta sulla porta in caserma"

Nuovi indizi contro l'ex comandante Mottola e la sua famiglia

La verità sulla fine di Serena Mollicone "Testa sbattuta sulla porta in caserma"

Roma. «Il cranio di Serena Mollicone ha creato il buco nella porta?». «Assolutamente sì». Venti anni di depistaggi, ieri in aula il rapporto del superperito. Arce, svolta decisiva sul delitto della 18enne trovata senza vita nel bosco delle Anitrelle il primo giugno 2001. È l'anatomopatologa Cristina Cattaneo del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell'Università di Milano a confermare la perizia del Ris. La testa di Serena è stata sbattuta violentemente contro una porta. Il colpo l'avrebbe stordita «poi la morte sarebbe giunta per asfissia». Le fratture al cranio sarebbero dovute all'urto contro una superficie «ampia e piana» sottolinea la perizia. Non una porta qualsiasi ma quella dell'alloggio di servizio della famiglia Mottola all'interno della stazione dei carabinieri, al termine di una lite violenta. Solo dopo il corpo viene trascinato e portato lontano per inscenare un delitto passionale.

Serena, una ragazza a posto, stava preparando gli esami di maturità. Ma in quella caserma la ragazza non c'era finita per caso. La droga stava uccidendo i suoi amici più cari e lei «era andata a denunciare lo spaccio di roba in paese - raccontava nel 2019 a il Giornale il papà Guglielmo Mollicone, deceduto nel 2020 - Voleva denunciare il figlio del comandante. Non aveva capito che era finita nella tana del lupo. Serena è stata ammazzata perché voleva far arrestare il figlio del maresciallo. È stata portata negli alloggi e lì è stata uccisa».

«L'arcata zigomatica di Serena combacia molto bene con la rottura nella porta - spiega la professoressa Cattaneo -, facendo la simulazione con i prototipi il cranio rimane incastrato. L'incastro replica perfettamente l'arcata sopraccigliare e combacia con la rottura più profonda». Un trauma compatibile, in ogni caso, con colpo su una parete verticale e non con una caduta a terra. Sulla compatibilità tra il buco nella porta e un pugno la Cattaneo ribadisce «anatomicamente è meno calzante del cranio della Mollicone». Serena presenta, inoltre, segni di colluttazione su tutto il corpo, in particolare sulle gambe e sul tronco, riconducibili a uno strattonamento. Insomma, mentre viene trascinata verso la porta Serena prova a difendersi. Poi il colpo letale e la morte.

Alla sbarra, davanti la Corte di Assise di Cassino, l'allora comandante Franco Mottola, la moglie Anna Maria, il figlio Marco e il maresciallo Vincenzo Quatrale, tutti accusati di omicidio in concorso. Quatrale anche di istigazione al suicidio del brigadiere Santino Tuzi. A coprire per anni il delitto è l'appuntato Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.

Un giallo caratterizzato da gravi errori giudiziari. Come testimonia Carmine Belli, il carrozziere di 38 anni accusato in un primo momento dell'omicidio, rinchiuso in carcere da innocente per ben 19 mesi. Arrestato nel 2003, Belli viene scagionato dopo tre gradi di giudizio. L'uomo fa un solo errore: entrare in quella caserma.

Belli, credendo di aiutare nelle ricerche, va dal maresciallo Mottola: «L'ho vista» mette a verbale. Viene indagato, arrestato e processato. Nel 2008 tocca al brigadiere Tuzi: si spara alla tempia tre giorni prima di essere interrogato in Procura.

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