Una videochiamata al Cio non chiude il caso Peng Shuai

La tennista parla con il presidente Bach e due atleti: "Sto bene e sono al sicuro, rispettate la mia privacy"

Una videochiamata al Cio non chiude il caso Peng Shuai

Che fine ha fatto Peng Shuai? Non si può smettere di ripeterlo. Il mondo si interroga sulla sua sorte e chiede a Pechino di lasciarla parlare, dal vivo, come se fosse una qualsiasi conferenza stampa dopo una partita a Wimbledon o al Roland Garros. La prima risposta sono un paio di foto e brevi video pubblicati in rete dal direttore e da altri giornalisti del Global Times, quotidiano che incarna il regime di Xi Jinping. Sembra di stare in un romanzo distopico e invece è la realtà quotidiana della Cina. È la mistificazione come approccio alla vita pubblica. L'unica realtà è quella che il partito ti fa vedere. Lo fa per il bene e la sicurezza di tutti e chi sfugge a questo principio va rieducato. Se poi è una campionessa di tennis allora bisogna mettere in scena una rozza illusione. Gli ultimi filmati sarebbero stati girati proprio ieri. Peng Shuai è ospite di una manifestazione di tennis. È lì in tribuna d'onore e il suo nome viene invocato tra gli ospiti illustri. Altro frammento. Peng firma autografi su grandi palline fosforescenti. Si muove a scatti, disorientata, e un sorriso forzato sul volto. C'è una donna che sembra indicare cosa deve fare. Per il partito comunista questa è la prova che non ci sono misteri. È la stessa sceneggiatura di lei ripresa mentre cena in un ristorante con il suo allenatore e un paio di amiche. Si parla genericamente di tennis. L'uomo a un certo punto dice: «È il 20 novembre». Una donna lo corregge: «È il 21». Il filmato è del 19 novembre. Non basta a convincere che sia tutto normale. Serve qualcosa di più. La svolta è una telefonata video di Thomas Bach, presidente del comitato internazionale olimpico. L'oro olimpico del fioretto a Montreal riesce a vedere e parlare con la tennista. Peng Shuai non nomina lo stupro subito dall'ex vice premier cinese. Non c'è più nessuna denuncia, quel messaggio scritto su Weibo: «Mi sento un cadavere che cammina. Come un uovo che colpisce una roccia, o una falena la fiamma, dirò la verità su di te». Nessun riferimento al settantacinquenne Zhang Gaoli, l'uomo che l'avrebbe violentata e ricattata. Niente sfida al potere del comitato centrale. Peng ripete le frasi che le hanno insegnato. «Sto bene e sono al sicuro. Chiedo solo rispetto per la mia privacy». Il colloquio è durato trenta minuti. Non erano solo in due. C'erano anche Emma Terho, giocatrice finlandese di hockey e rappresentante degli atleti del Cio, e Li Lingwei, la fuoriclasse del badminton cinese. «Grazie - dice Peng - che vi state preoccupando per me. Non è però necessario. È un momento in cui preferisco stare con la famiglia e gli amici. Penso ancora al tennis? Perché no. È la passione della mia vita e un giorno magari tornerò a giocare». Bach la invita a cena quando a gennaio sarà a Pechino. Peng Shuai accetta.

La video telefonata chiude il caso? No, per niente. Rassicura un po'. La tennista cinese è viva e in apparenza non presenta violenza fisiche. Non si sa quanto sia libera e di certo la violenza sessuale è stata messa da parte. È vietato parlarne. Il regime per il momento non ha bisogno di altro. I conti finali si faranno più in là. Il Cio pensa alle Olimpiadi invernali di Pechino. La comunità internazionale del tennis chiede di più. Vorrebbe Peng fuori dalla Cina. Stati Uniti e Gran Bretagna non rinunciano a minacciare il boicottaggio.

A loro si aggiunge con forza il governo francese, il ministro Jean-Yves Le Drian ha chiesto di poter incontrare la ragazza, altrimenti ci sarà una risposta diplomatica. L'Italia invece non si espone. Quando c'è di mezzo la via della seta i governi italiani si mostrano sempre molto, troppo, prudenti.

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