Mio caro Sigmund, sono sempre lieta di ricevere tue notizie. So che mi pensi, mi racconti delle tue giornate e solo per questa delicatezza mi sento più vicina a te. Sai bene che del mio amore voglio sapere ogni cosa: i paesaggi che ti circondano, i luoghi appartati che scegli per scrivermi, gli affannosi spostamenti che ti fanno assumere le sembianze di un roast-beef, e ovviamente, il più romantico desiderio di rivedermi… Per questo mi sento tanto sciocca, talvolta e in particolare dopo questa tua, nel sorprendermi a pensare certe cose che fatico a confessarti. Ma sei stato proprio tu, Sigmund, a chiedermi di rivelarti tutto, di aprirti la mia mente senza temere i suoi meandri, evitando di vergognarmi dei suoi misteriosi anfratti. Giusto? È così che hai detto quando, sfiorandomi la mano, parlavi della mia isteria e delle emozioni che mi infiammavano le guance, o forse mi sbaglio, mio adorato?
E allora prendo coraggio Sigmund e sì, ti apro la mia mente, oltre che il mio cuore e quel luogo oscuro in cui sono conservate le pulsioni. Sulle tue dolcissime righe, mio adorato, mi sono in realtà arrovellata per giorni, senza riuscire a trovar pace. Anzitutto devo spiegarti di sentirmi ormai pronta, intimamente pronta, per altri appellativi (più intimi e coraggiosi), ben distanti da quel «mia dolce fidanzatina» con cui ti rivolgi a me nella prima riga o da quel «mia piccola Martha» con cui decori l'ultima. Sono troppo audace, Sigmund? Ma non sei forse tu a parlare sempre di certi impulsi che ci fondano e ci scuotono in egual misura? Ebbene Sigmund, mi faccio audace davvero e non ti nascondo più nulla: ho sentito vibrare le tue parole solo avvicinandoti alla descrizione della ragazza «rosea e ben in carne» che hai incontrato per strada. Ho finalmente capito cosa intendi con «libido» dal racconto del vostro dialogo senza indugi e preamboli e distanze: «Bella signorina… Sa dirmi dov'è un caffè?». E mi sono sentita ferita Sigmund, ferita ed eccitata al tempo stesso perché non ero io la destinataria di quell'audacia, di quella veemenza sconsiderata ma lo era bensì quella golosa camerierotta incontrata per strada. Ti ho immaginato Sigmund, dinnanzi a lei e confuso, con la fronte imperlata dall'emozione a pensare a cose o a non pensare affatto. E mi sono vergognata delle emozioni blande che ti suscito, dei termini addomesticati e puliti, fin troppo puliti mio Sigmund, che ti viene da accostare al mio nome. Persino quando parli di tutti quei «giovani pellegrini che vanno in visita alle loro amanti», io vengo trafitta da una punta di invidia. Per ciò che faranno loro una volta a destinazione e per ciò che immaginerai tu della conclusione del loro viaggio.
Ebbene te l'ho detto mio adorato, ti ho svelato la mia mente. Io e solo io e finalmente io vorrei essere il bersaglio di quella «libido» di cui parli e scrivi tanto e che, con mia gran pena, evidentemente indirizzi alle altre.La tua audace promessa sposa
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