Un'odissea senza fine. Non c'è ancora libertà per Patrick Zaky, lo studente egiziano dell'università di Bologna imprigionato in Egitto da nove mesi con l'accusa di propaganda sovversiva sui social. Un tribunale del Cairo, come ormai succede dal momento del suo arresto, ha esteso di 45 giorni la detenzione preventiva del ricercatore. L'udienza si è svolta sabato davanti al tribunale penale alla presenza di Zaky e dei suoi avvocati. La corte ha ascoltato la difesa degli avvocati e ha dato a Patrick la possibilità di parlare, poi i legali hanno presentato un memorandum che illustrava in dettaglio le motivazioni dietro la richiesta di rilascio dell'assistito. Ma ancora niente libertà.
«Non ci sono parole per definire questo accanimento del potere giudiziario egiziano. Non ci sono parole per definire l'assenza di un'azione forte da parte del governo italiano», è la dura critica che arriva al nostro esecutivo dal portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury. La proroga della detenzione di Zaky arriva al termine di una settimana che ha visto l'arresto di tre dei principali dirigenti di Eipr, l'associazione egiziana per i diritti umani con la quale collaborava Zaky. A finire in carcere - tra il 15 novembre e venerdì scorso - sono stati nell'ordine: Mohammed Basheer, direttore amministrativo di Eipr arrestato nella sua abitazione al Cairo; Karim Ennarah, direttore per la parte giustizia penale, arrestato mentre era in vacanza a Dahab e Abdel Razek, direttore generale della Ong, portato via dalla sua abitazione al Cairo da agenti delle forze di sicurezza. «Si tratta di uno sviluppo molto preoccupante che evidenzia l'estrema vulnerabilità della società civile in Egitto», ha denunciato la portavoce dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Revina Shamdasani.
La diplomazia internazionale, tra cui quella italiana, si è mobilitata per chiedere il rilascio degli attivisti, tutti e tre ora in carcere preventivo per 15 giorni e iscritti dalla Procura speciale per la sicurezza di Stato nella maxi-inchiesta su attivisti, avvocati e giornalisti accusati di «terrorismo, diffusione di dichiarazioni false per danneggiare la sicurezza nazionale e utilizzo di internet per pubblicare notizie false».
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