POLVERIERA VAL DI SUSA

Una buona dose di fantasia per poi, all’occorrenza, spararla grossa. La principale dote richiesta per ambire al ruolo di leader No Tav. Casting in Val di Susa, presentarsi perditempo. Per quanto possiate essere ambiziosi e urlare deliri in faccia al carabiniere di turno, ovviamente a favor di telecamera, difficilmente riuscirete a scalzare dall’incarico Alberto Perino. Il capataz dei rivoltosi, pur in una tranquilla domenica nei boschi di Giaglione, è riuscito a dire: «Gli scontri degli ultimi giorni hanno dimostrato la brutalità della polizia. Hanno gettato la maschera. Hanno fatto la caccia all’uomo. Proprio come fecero i nazisti». Boom. Peggio di quei petardi tanto cari a chi solidarizza coi nuovi nemici del progresso, però nel 2012. A Perino comunque sembra di vivere nel Terzo Reich, non nell’era dei tecnici. Per cui, caro Professor Monti, «Non ci spaventi. Dei valsusini non hai capito niente. Il nostro popolo è duro come dei martelli, anzi, io dico, come delle mazze». Se non è una minaccia è un messaggio subliminale. Ieri è bastato tagliare le reti del cantiere qua e là, per far vedere che «se avessimo voluto saremmo arrivati lì dentro. Lo faremo ancora tante volte».
Intanto da lui abbiamo imparato che tutti i no Tav sono «tranquilli, colorati e allegri. Gente che si comporta bene». I sassi sulle teste degli agenti? I roghi in autostrada? Avete visto male. Evidentemente nella foresta piemontese dev’esserci uno specchio in stile Alice nel Paese delle meraviglie. Favole, insomma. Come quelle che raccontano sui siti internet antagonisti. Prendete il caso di Bruno Marco. È riuscito ad andare in televisione. Gli è bastato provocare al limite quel carabiniere: «Che fai pecorella? Sai anche sparare? Vorrei vederti sparare! Noi ci divertiamo a guardare voi stronzi vestiti così...». Bruno Marco era gia noto ai carabinieri di Susa, che lo avevano denunciato per possesso di armi contundenti nel bagagliaio della sua auto. Stava andando a «manifestare» al cantiere dell’Alta velocità.
Dipende da che lato si guardano gli eventi. Dall’altra parte, visto con le lenti deformanti della «buona» causa che paralizza l’Italia da giorni, c’è anche Marco Bruno. Per il «Comitato No Tav spinta dal bass» è «un padre di famiglia di un bimbo di due anni, un lavoratore che non si risparmia». Già, perché Marco Bruno, quando non insulta militari, fa l’operaio. Takuma, così si firma il collega di battaglia online, insiste: «Le tv riprendono e la vittima diventa il poliziotto armato e a volto coperto e il carnefice il manifestante a volto scoperto e disarmato...». Loro hanno visto un altro film. Il guaio è che in «sala» c’era anche Giorgio Cremaschi, leader della Fiom. E come in fabbrica, ci propina il suo comizio: «La valle viene militarizzata con un’occupazione senza precedenti, mentre un’indecente campagna di disinformazione cancella le ragioni di chi lotta e trasforma tutto in una questione di ordine pubblico». Surrealismo.
La sindrome del ribaltare la realtà, o quanto meno renderla relativa, sta contagiando persino chi il dolore dello schema ottuso manifestanti-contro-forze dell’ordine lo ha vissuto sulla propria pelle. Giuliano Giuliani, padre di Carlo che morì nella guerriglia messa in atto al G8 di Genova 2001, riguardo al carabiniere insultato arriva a obiettare durante un corteo: «Assurdo premiare chi ha fatto soltanto il suo dovere». Come avrebbe fatto il suo «dovere di contadino-ribelle», Luca Abbà, che per opporsi all’esproprio del terreno s’è arrampicato su un traliccio dell’alta tensione, fino a rimanervi folgorato e a schiantarsi al suolo. Le sue condizioni di salute per fortuna migliorano, eppure c’è qualcuno - il «pacifista» Turi Vaccaro - che imita (sullo stesso traliccio ma corrente spenta) la bravata.

La protesta anti Tav è preda delle contraddizioni. Come quelle degli ambientalisti d’assalto che bruciano copertoni e tagliano i tronchi per portarli sulle strade a mo’ di barricata. Ma non fate domande: vi risponderanno che difendono la foresta dalle ruspe.

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