Pound e Gore Vidal uniti nella lotta (da veri populisti)

Non hanno nulla in comune Ezra Pound e Gore Vidal. Diversi per traiettorie personali, per sensibilità politiche, quasi del tutto incompatibili

Pound e Gore Vidal uniti nella lotta (da veri populisti)

Non hanno nulla in comune Ezra Pound e Gore Vidal. Diversi per traiettorie personali, per sensibilità politiche, quasi del tutto incompatibili. Pound, accusato di fascismo, chiuso per dodici anni in un manicomio criminale, e Vidal, radicale di sinistra, omosessuale, appartenente ad una famiglia potente e sceneggiatore di film cult come Ben-Hur (1959) e Parigi Brucia? (1967).

Eppure, Luca Gallesi in Amo l'America, nonostante (Mimesis, pagg. 154, euro 14) tenta l'azzardo rintracciando per questa strana coppia una connessione che si distribuisce attraverso una serie di tessere che vanno ad incastrarsi quasi del tutto. In primo luogo, per una serie di elementi che definiremmo collaterali o, almeno all'apparenza, poco rilevanti. L'amore per l'Italia, per esempio. Vissero a lungo nel nostro paese. Ne ammiravano cultura, storia e sistema scolastico, perciò maturando l'idea che per essere cittadini liberi e consapevoli servisse lo studio delle lingue antiche e del mondo classico. Tutti e due furono accusati di tradimento, ma Vidal anche di complottismo. Pound schierato contro l'intervento americano nella Seconda guerra mondiale (scelta che gli costò la privazione della personalità giuridica) e Vidal critico verso l'interventismo Usa dopo i fatti dell'11 settembre e nel Vicino oriente.

Elementi collaterali, quasi secondari, a fronte però della teoria di Gallesi che arriva a definirli «coscienza critica degli Usa». Ciò che infatti salta subito agli occhi è che sia nei Cantos che in Narratives of Empire si svela un identico sdoppiamento di valutazioni: la stima per i Padri Fondatori (George Washington, John Adams, Thomas Jefferson e tutti coloro che fecero la Rivoluzione) e il disprezzo per la massificazione della società nord-americana.

Entrambi interpretano come negativa questa dualità nella costruzione identitaria caratterizzata da un confronto tra classi dirigenti, talune mosse dall'ideale del «buon governo» e altre, quelle che alla fine risulteranno vincenti, spinte dall'interesse personale o di ceto. Un processo degenerativo che avvertono sin dai primordi, dal momento in cui si sfociò nell'unione delle prime tredici colonie americane, con lo sviluppo di una classe dirigente parassitaria che traeva linfa dal Regno Unito e che poi si rifletterà sulle colonie britanniche. Da una parte i rappresentanti delle forze produttive e dei ceti più colti volti al benessere generale e, dall'altra, i finanzieri e azionisti dei trust proni verso interessi economici particolari.

Pound, con i suoi toni apocalittici, rimarca il passaggio dal «regno della virtù» a quello dell'usurocrazia, Vidal quello dall'età dei governanti all'età degli sfruttatori, ed insieme puntano il dito contro gli accademici (inetti filologi per il primo, attivi collaboratori dello sfruttamento finanziario per il secondo), contro i media (Pound se la prende con i giornalisti, Vidal con i registi cinematografici) e contro ogni forma manipolatoria della realtà tesa a costruire «fabbriche dell'opinione pubblica».

Gallesi sovverte le tesi comuni. Più che sostare dentro i consolidati argini interpretativi di un Vidal radicale progressista e di un Pound fascista, li inserisce nel filone di pensiero classificato come «populista» che, tuttavia, è molto diverso dai fenomeni politici che oggi vengono così definiti in occidente.

Un populismo che si erge contro la massificazione e il materialismo dell'élite moderne ma che sempre tenta di tenere unite élite tradizionali e popolo: «uno schieramento che va dal presidente Jefferson (...) per arrivare, nel secondo dopoguerra, a figure di libertarians come Ron Paul e suo figlio Rand: un populismo pacifista, anticonformista, anti-imperialista e anti-plutocratico».

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