
Giuseppe Prezzolini, spirito indipendente dalla prosa limpida e incisiva, ha osservato il mondo senza pregiudizi e immune a ogni forma di condizionamento ideologico, e col suo atteggiamento, ostile ai dogmi consolidati, ha promosso una visione innovativa della libertà di pensiero, arricchita da un pungente sarcasmo e una profonda autoironia: «Non sono uno scrittore» dichiarava «non ho l'originalità di un filosofo, e diffido di chi pretende di rifare il mondo».
Terribilmente scettico nei confronti della classe dirigente del nostro paese, arrivò a definirsi «apota» per marcare il suo rifiuto del conformismo, adottando un contegno così irriverente da potersi spesso percepire come un pilatesco ripiegamento dalle responsabilità. Al contrario, suo obiettivo era modernizzare la cultura e sfidare il provincialismo. Dapprima, attraverso le pagine de La Voce, innovativo periodico che coinvolse personalità di spicco come Gobetti, Croce, Gentile e Salvemini, e sulle cui pagine si affrontavano temi cruciali per l'Italia, dalla riforma del sistema educativo alla questione meridionale, dal decentramento amministrativo alla revisione del codice della famiglia sino al divorzio; poi, trovando ispirazione nei profondi mutamenti sociali osservati durante il suo lungo «esilio volontario» negli Stati Uniti.
Pur essendo privo di un titolo accademico e senza l'appoggio di alcuna consorteria politica o di casta, insegnò alla Columbia University, e da quella cattedra descrisse l'America come il «paese della speranza», un luogo in cui il futuro sembrava davvero foriero di opportunità. Al contempo, non rinunciò mai a mantenere uno sguardo critico seppur costruttivo su quel mondo, capace di combinare condanna e riflessioni feconde.
In realtà, fu proprio questa capacità di leggere la realtà in modo autonomo a renderlo diverso da tutti gli altri intellettuali del suo tempo. Le trasformazioni delle famiglie italo-americane rappresentarono per i suoi scritti, ad esempio, una significativa fonte di ispirazione, un prisma attraverso cui cogliere i cambiamenti in corso su entrambe le sponde dell'Atlantico, e stimolarono le sue riflessioni, spingendolo a toccare di rimando anche aspetti più specifici, come l'evoluzione del sistema scolastico italiano, dominato da una pedagogia incline a perdersi nelle insidie delle teorizzazioni ideologiche.
Si avvertiva un fermento diffuso. Il mondo andava trasformandosi, e Prezzolini se ne era reso conto ancor prima di metter piede a New York. Radio, cinema e televisione avrebbero rivoluzionato in pochi decenni le abitudini quotidiane delle masse, e lui ne intuì con netto anticipo i viluppi. Riconobbe nell'emittenza radiofonica una risorsa preziosa, reputandola una via di apprendimento informale, e apprezzandone anche la possibilità di interrompere i programmi a proprio piacimento: «Fra le ragioni del successo della radio» affermava con il suo inconfondibile sarcasmo «c'è la possibilità di chiudere ad ogni momento la rappresentazione: il pianista disgraziato, l'oratore noioso, la lezione d'una lingua barbara appena si affacciano sono immediatamente messe a tacere». La televisione, a sua volta, rappresentava già una prospettiva rivoluzionaria, da lui definita «il più notevole avvenimento nel campo delle relazioni umane», ma eravamo ai primordi. Qualche anno prima, infatti, la sua attenzione si era concentrata su un'altra invenzione che, per un lungo periodo, avrebbe incarnato una delle più straordinarie espressioni della modernità: il cinema.
Inizialmente, il suo approccio apparve fortemente improntato ad una dimensione pedagogica. Già nel 1915, ne promosse l'uso come strumento didattico per l'insegnamento della storia e della geografia, anticipando di decenni l'introduzione delle lavagne interattive e multimediali. Suggerì inoltre di utilizzarlo in modo più ampio per illustrare la scrittura, e persino per dettare esercizi scolastici: «Bisogna smeccanicizzare le menti dei nostri insegnanti e studiosi di cose scolastiche per persuaderli della necessità di meccanicizzare una buona parte dell'insegnamento. I treni non hanno abolito le gambe né gli ascensori paralizzato gli arti delle nuove generazioni. Hanno permesso di adoperarle in altro modo. Così deve essere delle macchine nella scuola: liberare la mente dai compiti inferiori, per permetterle di dedicarsi ai superiori».
Accanto ai molteplici effetti positivi sul fronte culturale ed educativo, del cinema Prezzolini coglieva la potenza coercitiva: «La forza persuasiva del cinematografo è stata subito compresa e afferrata nei paesi anglosassoni dai partiti politici, dalle sètte religiose, dalle associazioni di coltura e di propaganda morale». Come il lettore potrà constatare sfogliando le pagine di questa raccolta di articoli che si conclude, tra l'altro, con uno sferzante intervento di Giovanni Papini emerge tuttavia una visione ampia e moderna, niente affatto pedante o formalista.
Pur ancorandola alla sua formazione e non senza intenti pedagogici, l'Autore tentava primariamente di porre al suo centro l'esigenza di rendere accessibili a tutti gli italiani tramite il cinema i grandi fenomeni sociali, culturali ed economici.
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