Roma Il Monti caterpillar dirige il suo cingolato verso i sindacati. Sul tavolo del governo, oggi, i temi caldi della riduzione del numero dei contratti per l’ingresso nel mercato del lavoro, l’aumento della produttività media e dei salari reali, la ripresa dell’occupazione e la riorganizzazione degli ammortizzatori sociali. Sullo sfondo il nodo dell’articolo 18 cui Cgil, Cisl e Uil hanno già disotterrato l’ascia di guerra. Per ora il premier non scopre le carte e dice soltanto di presentarsi alla trattativa «senza tabù né preconcetti». Ma qualcuno avvisi Camusso & C. che il Monti-pensiero è noto; qualcuno faccia notare a Bersani & C. che il Professore già si è espresso sui riti della concertazione.
Ecco in pillole cosa pensa davvero dei sindacati: «Non bisogna spingere la concertazione con le parti sociali fino a rendere vincolanti le loro posizioni », scriveva sul Corriere della Sera il Professore nel lontano 1994. Il bastone più che la carota. Nessun timore, quindi, verso chi minaccia scioperi a catena: «Bisogna impedire che la società italiana torni a trovare appagamento nella “pace sociale”realizzata a danno delle generazioni future». Sempre Corsera , sempre 1994, quando il primo governo-Berlusconi rimase impelagato nella riforma delle pensioni e perse l’appoggio della Lega, spaventata dalla piazza. Sei anni più tardi, sempre Monti lo scrisse in maniera chiara: «Non sono mai stato un fautore della concertazione ritenendo preminente il ruolo del governo rispetto a quello pur rilevante delle parti sociali».
Insomma, al Monti economista veniva l’orticaria vedere che politiche economiche e sociali erano di fatto dettate dai niet di Cgil, Cisl e Uil. Così, lanciava a più non posso consigli su come avrebbe dovuto muoversi chi si sedeva a Palazzo Chigi: «Dopo una decisione non ci si deve spostare di un millimetro », consigliava nel 2006 a Romano Prodi, criticato aspramente perché aveva piegato la testa nella sua finanziaria. L’allora presidente della Bocconi aveva bastonato l’allora premier che, con la sua manovra, all’aumento delle entrate non aveva fatto corrispondere una riduzione delle spese e aveva rimandato sine die gli interventi strutturali su pensioni e sanità.
Prodi tentennava per non perdere la stampella della sinistra estrema e dei sindacati e Monti lo sferzava: «Si deve sperare che la sinistra radicale- scriveva in un editoriale del 22 maggio 2007- diriga le sue giuste lotte per la tutela dei deboli a favore di coloro che sono i più deboli di tutti: i giovani, gli esclusi, i non tutelati». E sulla minaccia della serrata: «La “ragion politica” dirà che bisogna evitare a tutti i costi lo sciopero generale. In effetti, il 6 luglio 1970 il governo Rumor si dimise dopo la proclamazione di uno sciopero generale unitario contro il governo.
Ma l’Italia di oggi è ancora una democrazia così debole e così consociativa? ». E, sempre nel 2007, diceva chiaro: «A sindacati e imprenditori viene assegnato un potere di veto sulle politiche economiche e sociali mentre interessi più meritevoli non trovano rappresentanza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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