Roma - La sfida si rinnova in vista dell’Oscar. La Francia designa Entre les murs, ovvero La classe, Palma d’oro a Cannes 2008; l’Italia risponde con Gomorra, Grand Prix nello stesso festival. Due bei film, di forte impronta sociale, realizzati con stile finto documentaristico (in realtà molto scritto e pensato), che mostrano la vitalità di un cinema capace di interrogarsi sul presente, facendo intelligente spettacolo. Esce venerdì in settanta copie, targato Mikado, il film di Laurent Cantet che in patria ha suscitato un putiferio. Anche lì si discute vivacemente di riforma scolastica, anche lì sono a rischio i posti di tanti insegnanti, anche lì ci si divide su metodi pedagogici e voti in condotta. Non che La classe, tratto dal fortunato libro del prof François Bégaudeau, pure protagonista sullo schermo, sia nato apposta per infiammare il dibattito sulle sorti della Scuola; e però il successo clamoroso, anche inatteso (60mila biglietti venduti nei primi dieci giorni, pari a circa 3 milioni e mezzo di euro), ha finito con l'urtare molte sensibilità. Addirittura c’è chi ne ha parlato come di «una bomba a scoppio ritardato».
Difficile, dopo averlo visto, capire il perché di tanta irritazione. Il film, ambientato e girato in un vero istituto del XX Arrondissement parigino, il «Françoise Dolto», documenta un anno di scuola partendo da una classe tipicamente multietnica. Ventiquattro alunni, tra i 13 e i 15 anni, molti i neri, i marocchini, anche due asiatici: un microcosmo vitale restituito attraverso gli occhi dell’insegnante di francese, François, alle prese con il titanico compito di conquistare la fiducia e l’attenzione della scolaresca. Non un carismatico professore alla Robin Williams di L’attimo fuggente; semmai un docente a noi più familiare, simile al Bruno Cirino dell'indimenticabile Diario di un maestro o al Silvio Orlando di La scuola.
Cantet, 47 anni, rivelatosi nel 1999 con Risorse umane, oggi incontra a Roma gli studenti del liceo Morgagni. Chissà se si ritroveranno nel ritratto di questi coetanei francesi: insolenti, a volte teneri o arroganti, «malati» di rap ma anche figli di culture lontane. Nel film è il gesto rabbioso dell’africano Souleyman, bullo e scostante, intervenuto in difesa di due coetanee alle quali il prof ha dato delle «sgallettate» in un attimo di esasperazione, a innescare «l’incidente» che porterà a una dolorosa sanzione disciplinare. Dice il regista: «La cosa che mi ha fatto più piacere è che le sale sono piene di adolescenti. Pensavo andassero a vedere solo film d’azione hollywoodiani, invece si identificano nei ragazzi di La classe, ne condividono atteggiamenti, slang, stati umorali, mutismi». Scelti tra una cinquantina di studenti di quella scuola, i 24 «attori» hanno rinunciato alle vacanze estive per girare il film sugli stessi banchi. «A volte improvvisando, a volte recependo i miei consigli o imparando a ripetere ciò che poco prima avevano improvvisato», rivela Cantet. Per il quale il film «non è una storia esemplare», una sorta di manifesto «sul melting pot o sullo stato della scuola francese», bensì il racconto di un piccolo esperimento. «François trasforma quella classe in una sorta di spazio metaforico, in una cassa di risonanza, e spinge i ragazzi ad aprirsi, ad autoritrarsi, a ragionare su se stessi». Naturalmente il regista, che considera quasi eroico il lavoro dell’insegnante («Bisogna avere buona salute e resistenza mentale»), non crede che i guai della scuola siano legati anche al crollo del principio di autorità. «Un concetto fuorviante.
Riproporre una rigida separazione tra scuola e società, puntando sui cosiddetti fondamentali, temo servirà a poco se gli studenti non si sentono attori del proprio apprendimento». Sarà, però un po’ di cultura non guasterebbe.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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