Quei "Segnali in codice" tra Storia, politica e fiction

Gabriele Barberis intreccia i grandi segreti d'Italia alle vicende di una enigmatica agenzia giornalistica

Quei "Segnali in codice" tra Storia, politica e fiction

La storia raccontata da Gabriele Barberis nel romanzo giallo Segnali in codice (Sem, pagg. 284, euro 19) inizia - è la prima scena - con un pestaggio politico negli anni '70, fuori da un complesso residenziale alla Camilluccia, e finisce - penultima scena - con il primo comizio del nuovo presidente del Consiglio, oggi. Pura fiction; di ottimo livello, ma pura fiction.

Gli avvenimenti italiani recenti invece ci parlano della parabola di una militante politica nata negli anni '70, infanzia alla Camilluccia e adolescenza alla Garbatella, e arrivata, oggi, alla presidenza del Consiglio. Pura cronaca; giudicabile come si vuole, ma cronaca.

Domanda da NON fare: qual è il rapporto tra fiction e cronaca in Segnali in codice? Almeno apparentemente, nessuno. Ma se si sanno leggere alcuni messaggi in codice sparsi nel romanzo allora, magari.

Piuttosto. Domanda da fare: chi è l'autore, Gabriele Barberis? È un giornalista, capo della redazione Interni del Giornale (questo giornale), biellese di nascita, torinese di adozione e milanese per lavoro, che segue la politica italiana tutti i giorni, tutto il giorno, da trent'anni. Politica-politicante, retroscena politici, intrighi politici, collusioni tra finanza e politica, tra Servizi e politica, tra informazione e politica. Ecco, Gabriele Barberis - che noi conosciamo da vent'anni, a tre-quattro redazioni di distanza, quelle che separano nello sfoglio del giornale la Politica dalla Cultura - non è solo un opinionista da talk show che va in tv a commentare le notizie uscite sui giornali; lui «fa» la politica nei giornali.

Bene. Nel romanzo d'esordio di Gabriele Barberis (che definire giallo politico è riduttivo, semmai è una riflessione letteraria sui gialli della politica) c'è tutta la realtà della cronaca, trasfigurata narrativamente. La politica davanti alle telecamere e dietro le quinte, il sottobosco politico, le labirintiche carriere di certi politici, le relazioni pericolose fra notizie e politici, fake news, polpette avvelenate, dossier, killeraggi e misteri. Molti misteri, trattandosi dell'Italia. Esempio: pochi giorni fa, 9 maggio, si è ricordata la morte di Aldo Moro, ma quanto ancora resta da sapere del celebre «caso», 45 anni dopo?

Plot di Segnali in codice. Due amici che poi forse sono più complici che amici, cresciuti negli anni '70 fra l'alta borghesia romana e la militanza nella lotta armata, si ritrovano quarant'anni dopo: uno anchorman di successo, l'altro politico di lungo corso. E pensando a quanti ex appartenenti ai gruppi extraparlamentari degli anni di spranghe e di P38 siano poi finiti nei ruoli chiave dell'informazione o in Parlamento, beh... diventa difficile distinguere fra fiction e cronaca. Poi c'è un giovane reporter torinese: Luca Boursier (pronunciato sempre in modo diverso), che comincia a collaborare con una poco trasparente agenzia giornalistica milanese, Codice2, guidato (o manovrato? o aiutato?) da una collega della quale sappiamo solo che si chiama Giulia Tembassi ed è una ex poliziotta. Poi ci sono un paio di scoop su strani legami fra soldi, parenti e politici (ma siamo nella cronaca o nella fiction?!). E poi c'è un documento inquietante che rispunta dopo quarant'anni capace di riscrivere la storia recente della Repubblica italiana e compromettere i vertici dello Stato, oggi. Ed è originale, dal punto di vista narrativo, seguire una trama così nera che si conclude in modo persino luminoso.

Originale (soprattutto nel raccontare il rapporto tra il mondo del giornalismo e quello della politica, cosa che fece anche Umberto Eco in Numero zero, ma Eco era un formidabile narratore che in materia di giornalismo lavorò un po' di risulta); incorniciato fra un verso del Bombarolo di Fabrizio De André e lo stralcio di una lettera di Aldo Moro; tanto oscuro nelle trame che via via si svelano quanto limpido nella costruzione della storia; sviluppato su tre piani temporali (il 1977 con un excursus nel 1982; il 2011 e poi il 2015-18); ambientato fra Torino (la città del protagonista), Milano (capitale del giornalismo) e Roma (città della politica), Segnali in codice è scritto da uno che per via del suo mestiere sa bene che il lettore 1) non può annoiarsi; 2) deve trovare ogni pagina verosimile; 3) non si fa ingannare da facili colpi di scena. Regole che Segnali in codice rispetta.

Per il resto, alcune cose notevoli del romanzo: il clima di ambiguità che si respira fino alla penultima riga dentro l'agenzia Codice2. I passaggi dalla prima alla terza persona quando si raccontano le vicende del giovane reporter; il personaggio dell'enigmatica giornalista Giulia Tembassi (spoiler: quando finisce nella redazione Moda del più diffuso giornale italiano, a Milano, non siamo più nel genere «narrativa», ma in quello della «fenomenologia»); il progressivo svelamento del contenuto - inimmaginabile - di una vecchia cassetta Vhs; l'idea che la vera influenza della stampa, a volte, sia quella di NON dare le notizie; e l'idea che la vera forza della politica, spesso, sia di NON occuparsi delle «cose pubbliche». Si chiama sopravvivenza del Potere.

Morale (una, fra le tante possibili): i fantasmi del passato della

Repubblica non soltanto non prendono mai corpo, ma continuano a trasmetterci dall'aldilà della Storia segnali in codice sempre diversi. Che la cronaca non riesce più a decifrare ma che la narrativa sa interpretare benissimo.

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