La natura se ne infischia della tecnologia e ogni tanto lo dimostra in modo violento, quasi una ribellione al tentativo velleitario dell’uomo di domarla. Non so con esattezza perché la Costa Concordia, un gigante coi piedi d’argilla, si sia accasciata come un pachiderma ferito dal classico topolino che gli ha bucato l’orecchio. Dicono che prima di emettere sentenze si debba attendere l’esame della scatola nera: ce n’è una anche sulle navi, registra ogni manovra.
Vabbé. Aspettiamo. Intanto però leggiamo resoconti dell’incidente (sciagura) e ascoltiamo testimonianze e reazioni. Come sempre, il primo responsabile è stato identificato nel comandante: non avrebbe fatto, non avrebbe previsto, insomma avrebbe agito con superficialità. L’impressione è che lo abbiano già condannato, secondo costume giudiziario. È in prigione: un anticipo di pena. Casomai non avesse colpe, pazienza: un po’ di galera serve a rammentare che siamo tutti in libertà provvisoria.
Ci hanno insegnato che la carcerazione preventiva scatta obbligatoriamente quando vi sia il timore che l’indagato possa reiterare il reato di cui lo si accusa. Siccome però questo povero comandante non dispone di altri piroscafi, come farebbe a reiterare il reato? Forse giocando con le barchette di carta nella vasca da bagno? Oddio, la carcerazione preventiva scatta obbligatoriamente anche se si teme la fuga del presunto reo o che questi inquini le prove. Quesito: inquinare le prove su un’imbarcazione affondata è alla portata del comandante? Quanto al pericolo di fuga, viene da ridere solo a pensarci. Fuggire dove? Non importa. In Italia è così: si comincia con il carcere, poi si vedrà.
Torniamo alla Costa Concordia. Che lambisce l’isola del Giglio, sbatte su uno scoglio, che sarà lì da alcune migliaia di anni, e cola a picco come un gommone. A bordo migliaia di persone. Immaginiamo gli effetti del panico, la disperazione collettiva, l’istinto di sopravvivenza che rende cattivi, cinici. Le cronache raccontano che molti passeggeri si rubavano il salvagente l’un l’altro. Crepa tu che mi salvo io. Versione volgare di mors tua vita mea . Non è una bella regola ma viene sempre applicata quando si tratta di tirare a casa la pelle. Delle donne, dei bambini e dei vecchi, chi se ne frega.
Ciò che tutti si chiedono, però, è come sia possibile che un colosso galleggiante varato sei anni fa, modernissimo, supertecnologico, dotato di sofisticati sistemi di sicurezza faccia la fine di un peschereccio logorato da mezzo secolo di navigazione. Tra l’altro, non in mezzo all’oceano in burrasca o nei mari del Nord punteggiati di iceberg, ma nel Mediterraneo che, praticamente, è un placido lago salato.
Ho un sospetto, forse ingenuo. D’altronde non sono un marinaio e neppure un bagnino. Ho solo qualche dimestichezza con la realtà. Negli ultimi anni l’umanità ha dato troppo spazio e troppa fiducia al computer e derivati. Non c’è settore lavorativo, non c’è mezzo di trasporto, non c’è niente ormai che non dipenda dai cosiddetti cervelli elettronici. I quali non solo dominano i cervelli nostri ma li hanno sostituiti.
Una volta qui in redazione si bloccò il sistema editoriale e non ci fu verso di riparare il guasto. I tecnici informatici allargarono le braccia e ci comunicarono: proveremo domani ad aggiustarlo.
Rimanemmo impietriti. Il Giornale era pressoché pronto per essere stampato, ma non andò in edicola.
La carta è sparita. I giornalisti scrivono, titolano, compongono le pagine su uno schermo illuminato. Non c’è nulla di palpabile. Se fai una correzione a un testo,l’indomani spesso anziché un errore ne escono due. Chi è stato? Hai voglia di urlare e sacramentare. Ti dicono che il computer non ha accettato la modifica. Non solo. Siccome lo hai disturbato, si è vendicato e ti ha ficcato un ulteriore sbaglio nell’articolo. Quando rileggi, ti spareresti. Dacché le tecnologie hanno reso superflui i correttori (licenziati col pretesto che le macchine sono più precise di loro), i quotidiani sono pieni di strafalcioni. Ieri in un mio pezzo avevo scritto: «L’euro è incapace di rappresentare...». Poi ho sostituito «incapace» con «inidoneo». È uscito «inidoneo di...». Che in italiano non esiste.
Questo per dire che l’uomo è stupido per conto proprio e, se si illude che il computer sia in grado di rimediare alle sue fesserie, addio. Il risultato è un disastro. Finché l’errore viene stampato su un foglio di carta, passi. Ma se incide disgraziatamente sulla rotta di una nave, le conseguenze sono gravi. Ecco. Non vorrei che le tecnologie avanzate, pur con tutti i loro pregi, abbiano incrementato la faciloneria di chi a esse si affida incondizionatamente, sicuro che non tradiranno. In altre parole, temo che l’uomo abbia perduto la propria capacità di concentrazione e la propria attenzione a ciò che fa, persuaso che l’elettronica sia più intelligente di lui, quindi infallibile.
Ancora. Da anni gli alberghi- ed è solo un esempio - hanno abolito le chiavi per aprire le porte delle camere, e adottato delle tessere magnetiche, di certo più comode e meno ingombranti. Se, come suppongo, sulla Costa Concordia le serrature funzionavano con la tessera, capisco perché quella coppia di coreani sia rimasta prigioniera in cabina senza riuscire a fuggire. La chiave è manuale e basta girarla, ma se la tessera magnetica si smagnetizza per una causa qualsiasi, stai fresco: l’uscio non si spalanca.
Siamo schiavi della tecnologia. Che è ottima in situazioni di normalità, ma in quelle d’emergenza può ingannarti o addirittura ucciderti. Siamo sicuri che nella sala comando del Concordia qualcosa non sia andato storto? Che un computer non abbia fatto i capricci, mancando di segnalare il pericolo dello scoglio? Oppurepossiamo escludere che gli ufficiali addetti, fidandosi ciecamente dell’elettronica, non abbiano trascurato di esercitare i dovuti controlli? Facile adesso dire che sono stati degli incoscienti. Ma se la nostra civiltà si basa sull’infallibilità (che tale non è) delle macchine, ovvio che la tensione personale del comandante e dei suoi aiutanti possa essere venuta meno.
Quanta più dimestichezza hai col computer e tanto più alto è il rischio che esso ti faccia del male. Mi è capitato di pigiare un tasto al posto di un altro sul telefono cellulare, provocando la cancellazione immediata della memoria contenente l’agenda. Di punto in bianco non avevo più un solo numero. Ricostruire l’elenco mi è costato una settimana di lavoro. Una sciocchezza, ma indicativa.
E che dire delle automobili? Ne ho in dotazione una imbottita di centraline elettroniche. Una piccola avaria e la vettura si inchioda per strada. Non parte. Non si aprono più gli sportelli. Ho tentato di leggere il libretto di istruzioni: 250 pagine fitte fitte e incomprensibili come un trattato di meccanica quantistica. Venerdì scorso ho acquistato un rasoio elettrico, non un jet. Nella confezione c’era pure il manuale d’uso:70 pagine,che ho rinunciato a compulsare.
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