Questi falsi sono autentici. Ecco tre casi incredibili

Le teste "di Modigliani", le sculture di Dossena e il pittore Frongia: tra burle e capolavori

Questi falsi sono autentici. Ecco tre casi incredibili

A Rovereto apre la imprevedibile mostra Il falso nell'arte, che indaga tre notevolissimi casi: Alceo Dossena, i falsi Modigliani di Livorno, e Lino Frongia, pittore appena celebrato al Mart con una mostra monografica.

Si inizia con la singolare vicenda artistica del cremonese Alceo Dossena (1878-1937), «autentico falsario», figura misteriosa e stimolante del secolo scorso, che animò una ricchissima produzione di falsi di opere scultoree di età antica e rinascimentale. Alceo Dossena è stato una delle personalità più singolari ed enigmatiche del mondo dell'arte nel Novecento. Egli infatti creò, come in un ripetuto transfert con altre epoche, autentici capolavori che erano attribuiti dagli studiosi e dai direttori di musei e gallerie, di volta in volta a scultori greci ed etruschi, a Giovanni e Nino Pisano, a Simone Martini, al Vecchietta, all'Amadeo, a Donatello, a Mino da Fiesole, a Desiderio da Settignano, ad Andrea del Verrocchio, ad Antonio Rossellino, al maestro della Madonna Piccolomini, e ad altri celebri artisti del passato.

In tempi recenti, tra burle e indagini giudiziarie, si manifestano clamorosi il caso Modigliani, e il caso Frongia.

Il primo, già raccontato, fu una grave minaccia alla «tenuta» del sistema dell'arte, fra critici, studiosi, Soprintendenti e mercanti. Alcuni giorni dopo il primo recupero, altre due teste furono ritrovate nel Fosso Reale di Livorno, che ne aveva rivelate due, subito acclamate, in realtà realizzate da tre studenti burloni. Si scoprì in seguito che le nuove due (quanta abbondanza!) erano opera di un altro (serio) livornese, Angelo Froglia, scultore e pittore. Fu lui a spiegare, con gravità, che il suo intento, diversamente da quello scherzoso dei ragazzi, non era la burla ma «evidenziare come attraverso un processo di persuasione collettiva, attraverso la Rai, i giornali, le chiacchiere tra persone, si potevano condizionare le convinzioni della gente. Inoltre io sono un artista, mi muovo nei canali dell'arte, volevo suscitare un dibattito sui modi dell'arte e questo mi è riuscito in pieno. La mia è stata un'operazione concettuale, se volete in un certo senso è stata anche un'opera d'arte, come quella di Christo che impacchetta i monumenti».

Il terzo caso è di assoluta attualità, ed è, anzi, ancora in corso, con risonanza mondiale e incidenti diplomatici. E io l'ho studiato da vicino. «Con Vittorio condivido la passione per le copie. Che per me sono però, come ha scritto Francesco Moschini, un esercizio di stile». Così l'ultimo falsario preterintenzionale, Lino Frongia, risponde alle insinuanti e lusinghiere accuse di essere il falsario di un Cristo esposto come autografo nella mostra su Correggio a Parma del 2008. In quell'occasione il grande pittore diede una spiegazione della sua condizione psicologica come copista, in verità impareggiabile, senza intenzione di invecchiare o di usare materiali antichi per le sue copie: «Sono appassionato della tecnica pittorica. E, indipendentemente dal mio lavoro di ricerca, eseguo copie dai dipinti dei maestri. È una pratica nella quale il mio stile scompare. Mi spersonalizzo completamente. E così, in qualche modo, mi scarico».

Autoritratto con veggente, di Lino Frongia

La mia conoscenza della sua opera e la mia ammirazione mi indussero a pensare a lui per quel mirabile dipinto di aura perfettamente correggesca. E ancora penso che sia suo ma, come e più che nel caso di Dossena, sono convinto che la sorprendente qualità dell'opera e la sua perfezione mimetica non hanno nulla a che fare con il dolo e con l'inganno, e tanto meno con l'accordo con antiquari e mercanti senza scrupoli. È un dipinto bello come lo sono quelli del Correggio, ma non è suo. La sostanza è tutta qua, tra il bello e il vero.

Frongia chiarisce: «Ho copiato Guercino, Van Dyck, Ingres, opere che ho a casa mia a Roma, mentre alcune le possiede Vittorio. Nella mia casa di Montecchio, dove sono nato, ho una testa di Cristo del Correggio - ma diversa da quella della collezione inglese ora in mostra - un dipinto che però non ho neanche portato a termine. Non vorrei che Sgarbi mi avesse visto dipingere quel quadro».

Sarà stato così, ma la forza di immedesimazione nei diversi artisti (per quello che io ricordo, Van Dyck, Tiziano, Correggio, Jacopo Bassano) era davvero sorprendente. È giusto dunque che, in questa galleria, egli sia presente, non come falsario, ma come l'ultimo dei grandi maestri antichi viventi; e lo si può apprezzare anche nel misurarsi con originali conosciuti da cui ha derivato formidabili copie (tra quelle che io conosco e possiedo: la Salomè con la testa del Battista di Tiziano e un San Giuseppe di Piazzetta sul quale esiste la diretta testimonianza dell'autore: «Pensi che ho realizzato una copia del Piazzetta di sua proprietà. L'ha comprato a Guastalla. Ed è stato lì, qualche anno fa, che abbiamo esposto l'originale e la mia copia».

In tempi recenti, su mia commissione, ha dipinto una mirabile interpretazione del ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello e una seducente versione della Morte di Cleopatra di Guido Cagnacci. In queste copie, diverse da opere inventate che gli sono state attribuite, c'è la pienezza della sua pittura in una seducente carnalità. E la capacità di intercettare il profumo e la vibrante vitalità pittorica degli artisti di riferimento. Che questo si possa chiamare inganno, così come nella pietra riuscì, fino all'inganno estremo, ad Alceo Dossena, è la ragione per la quale egli è presente qui «in partibus infidelium». E questo si deve anche alla lunga controversia giudiziaria che in Francia si è aperta intorno alla sua vicenda artistica, tra ammirazione e sorpresa, dando vita ad articoli e libri sul caso (Vincent Noce, L'Affaire Ruffini. Enquête sur le plus grand mystère du monde de l'art). Indubbiamente una montatura dovuta anche a una intraprendente magistrata, che elaborò il suo teorema fortificandolo con spettacolari sequestri di dipinti di collezioni private, esposti in mostre nei musei francesi: la Venere di Cranach dalla collezione del principe del Liechtenstein, il San Cosma di Bronzino dalla collezione Alana. Dipinti autenticissimi, sorprendentemente ritenuti di Frongia.

Tutto ha inizio in Francia, quando una lettera anonima segnala al Tribunale di Parigi come alcuni quadri di Cranach, Correggio, El Greco e Gentileschi siano in realtà falsi, contraffatti e invecchiati per essere considerati autentici. Aperte le indagini, le autorità francesi risalgono ai venditori, Giuliano Ruffini e il figlio Matthieu, e al pittore Lino Frongia.

Mentre Matthieu è indagato a piede libero, per gli altri due nel 2019 scatta il mandato di arresto europeo. Si arriva all'8 marzo 2020, quando tutto viene temporaneamente bloccato dalla lungimirante Procura di Reggio Emilia che, nel frattempo, ha aperto un procedimento penale per evasione fiscale relativo ai traffici sui quadri. Entrambi i processi, sia quello francese sia quello italiano, sono ancora alle fasi istruttorie preliminari. Per Frongia, che tra l'altro ha sempre lavorato in Italia, la Corte d'appello di Bologna ha respinto la richiesta di estradizione.

Se, d'altra parte, Frongia sapesse ripetere lo stile di tutti i pittori che gli sono state attribuiti sarebbe un genio assoluto. Quanti maestri in uno! In realtà è già risultata autentica, alle indagini, l'opera da cui origina il grande clamore, e da cui è partita l'inchiesta, la Venere di Cranach. E lo stesso si può dire per la tavola di Bronzino. Qui l'unico falsario è il magistrato. Frongia ci è rimasto in mezzo, e la sua considerazione come falsario non fa che accrescere la sua reputazione come pittore. Le sue opere sono formidabili d'apres, non copie e non falsi, ma vere e proprie restituzioni dell'anima, dello spirito, dei pittori replicati.

Registro che l'ottimo, e giovane, antiquario Fabrizio Moretti, attivo sul mercato internazionale, resta convinto che il miracoloso falsario sia proprio Frongia, il più grande (per amore della pittura) e il più abile di tutti i tempi. Frongia (autentico) protesta, ma tace.

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