ROMA - Enrico Fermi aveva ragione quando sessant'anni fa per primo propose un meccanismo in grado di spiegare le enormi energie raggiunte dai raggi cosmici che permeano la nostra Galassia. Lo confermano le recenti osservazioni della missione per lo studio dei raggi gamma che la Nasa ha dedicato proprio al famoso scienziato italiano. Il satellite Fermi, infatti, al quale l'Italia collabora con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), l'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e l'Agenzia Spaziale Italiana (Asi), ha trovato la prova conclusiva che le cose stanno effettivamente come era stato ipotizzato dal grande fisico.
I raggi cosmici sono particelle cariche di altissima energia che raggiungono il nostro pianeta attraversandoci come una continua pioggerellina battente. Secondo l'ipotesi di Fermi, i raggi cosmici vengono accelerati in dense nubi di gas magnetizzato in movimento. Per molti anni questo «meccanismo di Fermi» con le sue varianti è rimasto l'unico praticabile e proprio per la sua importanza la Nasa ha deciso di dare il nome di Fermi al grande osservatorio spaziale per l'astronomia gamma lanciato nel giugno 2008. Negli ultimi 50 anni gli astrofisici hanno individuato nei resti delle supernove i siti cosmici più adatti a creare le condizioni previste da Fermi. E oggi il Large Area Telescope (Lat), il rivelatore per raggi gamma di alta energia collocato a bordo del satellite Fermi, ha infatti osservato in vari resti di supernova un'intensa emissione gamma correlata con gli strati di materia espulsa nell'esplosione e con la presenza di dense nubi di gas interstellare.
Un resto di supernova è la struttura risultante dalla gigantesca esplosione con cui termina la propria vita una stella di grande massa quando ha esaurito il combustibile nucleare, che «bruciando» ne sorregge l'enorme massa gravitazionale. Il meccanismo svelato dal satellite Fermi è semplice e chiaro: i protoni, che costituiscono la maggior parte dei raggi cosmici sono inizialmente accelerati nelle collisioni fra gli strati di materia espulsa nell'esplosione di supernova e producono raggi gamma di altissima energia quando interagiscono con i nuclei atomici del gas interstellare. Le osservazioni di Fermi hanno mostrato evidenza di questo meccanismo in ben quattro resti di supernove di varie età (da estremamente giovani, cioè di poche centinaia di anni, ad altre risalenti a migliaia di anni fa). A più di sessant'anni di distanza, quindi, l'ipotesi di Enrico Fermi trova una conferma sperimentale.
Secondo Ronaldo Bellazzini, responsabile del progetto Fermi per l'Infn, «le nuove osservazioni raggiungono uno degli obiettivi fondamentali della missione e mostrano quanto sia ampio il suo contributo alla nostra comprensione dell'Universo. È un nuovo grande risultato di questo strumento realizzato con un ruolo decisivo della componente italiana».
«Anche se non si vedono, i raggi cosmici sono importanti come la luce delle stelle nello spazio che ci circonda», commenta Patrizia Caraveo, responsabile per Inaf dello sfruttamento scientifico dei dati Fermi. «Aver capito dove i protoni vengono accelerati a velocità prossime a quelle della luce è un risultato importante. Enrico Fermi deve aver esclamato: "Finalmente! L'avevo detto io..."»
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