Milano - Mettiamoci il cuore in pace. Ora inizierà un altro tormentone. Finito il panettone, ci dovremo occupare, o meglio, ci dovremo sorbire, speriamo per poco, il polpettone delle riforme condivise. Riepilogando. Siccome prima di Natale tirarono la statuetta in testa al Cavaliere, ci fu, Di Pietro escluso, la rincorsa a sostenere che il clima andava cambiato, che la contrapposizione era troppo aspra e che così non si poteva andare avanti. In realtà la statuetta in testa l’aveva presa il leader del centrodestra, e certamente quel clima non l’aveva creato lui. Nonostante questo, un po’ di anime belle, che in Italia non mancano mai, iniziò la litania delle riforme condivise. Con quelle si sarebbe instaurato un clima diverso che avrebbe stemperato gli animi, cerebrolesi compresi.
Vediamo di capirci qualcosa. Se parliamo delle riforme istituzionali, cioè quelle relative ai poteri del premier, alla funzione della Camera e del Senato e compagnia cantante, allora è un discorso. Se parliamo di altre riforme, è tutt’altro discorso. Chi non vorrebbe un leader che abbia poteri come quelli di altre democrazie europee? Che ad esempio possa mandare a casa i ministri, quando questi vanno fuori dal seminato, cioè non vogliono riconoscere il programma politico col quale hanno vinto le elezioni? Non sarebbe questa una miglioria al nostro assetto istituzionale? O, meglio, non ci toglierebbe dal pantano di una forma di governo che risale a tempi lontani dai nostri e coperti dalla polvere e dalle ragnatele di una democrazia lenta e inadatta ai nostri giorni? Silvio Berlusconi, e il centrodestra, queste riforme le vogliono fare dal ’94. Con chi le si possono fare oggi? Certamente un interlocutore può essere Pier Luigi Bersani perché, D’Alema permettendo, anzi D’Alema incitando, sembra proprio che voglia fare sia queste che quelle sulla giustizia. Casini sembra dell’avviso, ma l’avviso di Casini è cangiante, come è noto. E poi? Il nulla. Di Pietro vorrebbe fare una sola riforma, se potesse: mandare Berlusconi in un riformatorio.
Il centrista Casini ha proposto di estendere i campi delle riforme, e qui siamo al secondo punto. Si è detto che vanno fatte insieme, anche quelle che riguardano il Welfare, cioè ammortizzatori sociali, pensioni, insomma quelle che dovrebbero garantire ai più svantaggiati una rete di protezione in modo che, come i trapezisti, se gli scappa la mano dal trapezio (mercato del lavoro) non cadono nel vuoto, ma sulla rete e non si ammazzano. Domanda: vogliono fare le riforme condivise sul Welfare? Si possono fare in un attimo. Il ministro Sacconi, certamente il più preparato in Italia sul tema (qualcuno si è dimenticato che il suo consulente da sottosegretario si chiamava Marco Biagi e il suo allievo, Michele Tiraboschi, è attualmente consulente del ministro, ma questo a qualcuno dà ancora fastidio, anche se non lo può dire), ha tutto pronto da tempo. Ha scritto un libro verde, ha scritto un libro bianco sul Welfare, insomma: per poter diffondere le proprie idee e discuterne ha finito i colori del pantone.
Che bisogno c’è di vaneggiare una riforma condivisa? Non condividono le idee di Sacconi? Hanno da proporre qualche professore o esperto che possa fare meglio? Pietro Ichino e Tiziano Treu, che sono tra i giuslavoristi del centrosinistra più intelligenti, condividono molto di quanto scritto da Sacconi. Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera, ha detto, bontà sua, che le riforme di Sacconi vanno nella direzione giusta. Casini ha detto che bisogna mettersi al lavoro in fretta, ma Sacconi è già al lavoro da quando ancora questi signori non pensavano né alle riforme condivise né a quelle conmoltiplicate.
Vogliono procedere veramente? Saremmo tutti contenti, anche se ci crediamo tanto quanto di vedere la neve a Rimini il prossimo 15 agosto.Comunque, non si sa mai. Le vie di Damasco sono deserte, vedi mai che qualcuno si faccia trovare volonteroso e operoso.
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