da Milano
Dopo 36 anni Carlo Ripa di Meana chiede perdono alla famiglia di Luigi Calabresi. La colpa: aver firmato un documento pubblicato nel 1971 sullEspresso, in cui si accusava il commissario di polizia, assassinato poi il 17 maggio del 1972, del delitto di Giuseppe Pinelli, morto tre anni prima, nel 1969, in circostanze misteriose mentre si trovava allinterno della Questura a Milano. «Chiedo un individuale perdono alla signora Calabresi e al figlio», ha detto Ripa di Meana ieri a Cortina dAmpezzo, intervenendo al convegno del ciclo intitolato «Cortina InConTra».
In ottocento, e fra questi artisti, scienziati, registi, editori, giornalisti, firmarono la lettera allEspresso, in cui Calabresi veniva definito «torturatore». «Desidero spiegare - ha aggiunto Ripa di Meana - che allora, nel 1971, ero segretario del Club Turati, a Milano. Il club era frequentato sia da Giuseppe Pinelli, prima della sua morte, sia dal commissario Calabresi, sia dal responsabile della Digos di Milano Antonino Allegra. Li conoscevo tutti e tre. Quanto accaduto in Questura mi aveva davvero sconvolto».
Lex parlamentare europeo ha anche ricordato il clima che regnava nella Milano di allora, ancora segnata dallo choc di piazza Fontana: «Nella sede del club Turati facevamo controinformazione, per cercare di capire veramente cosa fosse accaduto: le circostanze che ci fornivano era che Pinelli era morto nel corso di un interrogatorio in cui erano presenti sia Allegra sia Calabresi».
Quando qualcuno telefonò a Ripa di Meana proponendo di firmare la lettera-accusa contro il commissario, lui accettò: «Non pensavo che le conseguenze sarebbero state lassassinio di Calabresi».
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