La rivolta dei sindaci? Giusta, ma non fa i conti con il nostro debito

La ricetta dei primi cittadini lombardi contrari ai vincoli del Patto di stabilità: griglie diverse da Nord a Sud. Però il rigore va difeso

La rivolta dei sindaci? Giusta, ma non fa i conti con il nostro debito

Lega di lotta e di governo. Guidati dal sindaco leghista di Varese, nonché presidente dell’associazione dei comuni della Lombardia, Attilio Fontana i sindaci della Lombardia sono scesi in piazza (secondo la Questura di Milano erano 400) per protestare contro il Patto di stabilità che strangola i comuni che non riescono neanche a spendere i soldi che hanno. Sindaci di tutte le parti politiche: tutti uniti contro il Patto e contro il governo che lo impone. Come al solito, quando si muove un leghista, anche se in doppiopetto come Fontana, il seguito non manca e il ritorno politico è assicurato.

Di che si tratta? Della stessa questione che attanaglia il governo nazionale, che non può indebitarsi oltre un certo limite perché il patto con l’Unione europea non glielo consente. Lo stesso vale per gli enti locali con il governo nazionale. Ogni anno i comuni sottoscrivono un patto di stabilità che li tiene vincolati a spendere entro una certa soglia. Se la superano vengono multati e sanzionati in vari modi. Ma il problema qual è? Il solito di sempre, nel nostro Paese: la legge è uguale per tutti i comuni, indipendentemente dal loro comportamento, dal loro rispetto più o meno ligio delle regole finanziarie imposte da Roma. Così succede che certi comuni che sono stati virtuosi non riescano neanche a spendere i soldi che hanno risparmiato e non possano investire quei soldi per fare quelle opere di cui hanno bisogno. Chi ha i soldi, infatti, non li può spendere, chi non li ha ed è indebitato fino al collo non è facile da aiutare a disunire il suo indebitamento. Non regge una griglia che debba andare bene per tutti. E i sindaci lombardi non vogliono più accettarla. Occorre ridisegnare il patto rendendolo più adatto ai diversi territori e, magari, concordandolo con le diverse regioni invece che direttamente con il governo nazionale.

Fino a qui niente da eccepire. Il ragionamento fila dritto: non si possono fare regole uguali per realtà completamente diverse.
Ma c’è un però. Il nostro ministro dell’Economia, da oggi, si troverà a discutere con due leghe, non più con una. Una è quella nazionale che lo ha sempre sostenuto, almeno finora molto vigorosamente, sulla linea del rigore finanziario per non finire come la Grecia. Un’altra è quella che guida la pacifica rivolta dei sindaci lombardi contro le rigidità del patto di stabilità. Tremonti ha già detto la sua: la strada è quella del federalismo che arriverà presto. Dirlo alla Lega non è male. Non c’è che dire.

Ma allora la manifestazione di ieri perché l’ha indetta un sindaco leghista? Perché il governo ha bisogno di una spintina per convincersi a rivedere il patto? Perché Tremonti fa gli accordi con il vertice della Lega ma non ascolta la base leghista e comunque degli amministratori? Occorre un segnale forte dalla base per accelerare la riforma federale? Comunque sia la Lega se la canta e se la suona. Fontana è troppo ragionevole per non saperlo.

A livello nazionale la questione dei conti è delicata come i cristalli di Boemia. Si fa presto a rompere tutto e da Bruxelles non aspettano altro che sparlare un po’ della solita Italietta.

E non ce lo possiamo permettere, anche se contro Tremonti ci fossero tutti i sindaci d’Italia, isole comprese. Il federalismo certamente porterà con sé una revisione delle regole delle finanze locali, ma con il federalismo non scomparirà il debito. Non aspettiamoci miracoli laddove non ce ne possono essere.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica