Milano - Come prevedibile, si ferma alle eliminatorie la corsa di Gomorra di Matteo Garrone. Sùbito certi ambienti prendono il lutto: «Nuova delusione per il cinema italiano», titola un’agenzia di stampa, riferendosi al fatto che il film era anche «uscito a mani vuote dalla serata dei Golden Globe». Come se gli fosse toccato di diritto vincere entrambi, o almeno l’Oscar per risarcimento; soprattutto come se, al Festival di Cannes, Gomorra non avesse già avuto più del dovuto, il Gran premio della giuria, mentre Il divo di Paolo Sorrentino, esteticamente superiore, non si fosse dovuto accontentare del semplice Premio della giuria.
Il caso Gomorra ovviamente non è, per gli americani, il tormentone che in Italia va avanti dall’uscita del libro di Roberto Saviano (Mondadori) al quale il film s’ispira. Un grande regista come William Friedkin diceva tre mesi fa al Giornale che aveva adorato Gomorra ed era impaziente di vedere Il divo. Non era un’affermazione da poco, ma a rendere smisurate le attese italiane non erano stati questo o altri riconoscimenti professionali: era stata l’adozione del libro e del film a priori, come simbolo di un’Italia onesta, quindi democratica, contro l’altra Italia, disonesta, quindi antidemocratica.
E ciò aveva favorito la candidatura di questo, e non di un altro film italiano. Lo si era scelto non per spettacolarità, non per probabilità di successo, per un premio che ha natura meno estetica che commerciale. Insomma, lo si era scelto - non è certo la prima volta - per politica. Ma ricordiamo che i film italiani che hanno avuto l’Oscar (fra gli ultimi La ciociara, Mediterraneo, Nuovo cinema Paradiso e La vita è bella) sono tradizionalmente storie di guerra, dopoguerra, miseria e Meridione. Gomorra ha solo gli ultimi due requisiti...
La sua sconfitta non smentisce che l’orientamento dell’Academy resti sensibile alle scelte delle giurie del Festival di Cannes: infatti passa alle semifinali per l’Oscar il film che ha vinto la Palma d’oro, il francese La classe di Laurence Cantet; passa il film che doveva vincervi qualcosa e non l’ha vinto, l’israeliano e ammirevole Valzer con Bashir di Ari Folman; passa il turco e notevole Tre scimmie di Nuri Bilge Ceylan, che ha avuto un premio minore. Passa alla semifinale perfino La banda Baader-Meinhof, non premiato al Festival di Roma, anzi sbeffeggiato in Italia, perché la nostra stampa cinematografica non ama i film quando spiegano i fenomeni complessi, anziché complicare quelli semplici.
Ma proviamo a guardare la vicenda anche da fuori. Lasciamo perdere la promozione: i componenti dell’Academy sono centinaia e centinaia nel mondo: quanti avranno visto Gomorra? I fratelli Weinstein della Miramax sono diventati famosi anche per la generosità nel distribuire loro copie in home video dei film che avevano acquistato per gli Stati Uniti. E mettiamoci nei panni di coloro che l’abbiano visto: avranno retto due ore e mezza di proiezione con sottotitoli di un film frammentario, desolato, volutamente senza glamour criminale, un vero e proprio anti-Padrino, film-mito per la generazione cinquanta-settantenne che vota per l’Oscar? Ricordiamo quanto ha dovuto penare prima di un Oscar personale Martin Scorsese, coi suoi gangster sboccati, ignoranti, stupidi, proprio come quelli rappresentati neorealisticamente da Garrone? Una trentina d’anni.
Sui quotidiani di oggi troverete il trionfo del piagnisteo, eppure il 2008, grazie sempre al Festival di Cannes, è stato l’anno mirabilis, non l’anno horribilis del nostro cinema. Che pure non è risorto, continua a macinare opere o radicalmente ambiziose, quindi precipuamente velleitarie, o radicalmente grossolane, prive di dignità più che prive di ambizioni.
Il 2008, anche senza Oscar per il 2009, è stato un ampio incoraggiamento. Garrone tace. Meglio. Al Festival di Berlino di qualche anno fa, quando un suo precedente film non fu preso molto sul serio, Garrone parlò. E fu molto peggio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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