Il sacerdote inventore della Cristoterapia

don Piero Gelmini troneggia come un sacerdote intagliato in certezze antiche e immutabili. Altri navigano a vista, cercando di coniugare con mille giravolte il vangelo e il mondo, lui dispensa un cristianesimo solare, concreto, solido come un edificio che ha duemila anni e la previsione di durare finchè ci sarà il mondo

da Milano

Nella vetrina un po’ opaca del clero italiano, don Piero Gelmini troneggia come un sacerdote intagliato in certezze antiche e immutabili. Altri navigano a vista, cercando di coniugare con mille giravolte il vangelo e il mondo, lui dispensa un cristianesimo solare, concreto, solido come un edificio che ha duemila anni e la previsione di durare finchè ci sarà il mondo. Insomma, un campione di quel cattolicesimo lombardo-veneto con forti venature sociali, che dal cardinal Ferrari arriva a don Gnocchi e all’ultima generazione di preti alfieri, a modo loro, del made in Italy sul versante religioso: lui, e con le dovute differenze, don Verzè, don Mazzi, pochi altri.
Don Piero nasce in una casa santino di Pozzuolo Martesana, Lombardia profonda, il 20 gennaio 1925. Il padre gli insegna la carità, senza se e senza ma, come usava una volta: «A casa mia c’era sempre posto per tutti, anche per i barboni». In seminario ci entra a nove anni, secondo ritmi che oggi ci appaiono lunari e allora erano la norma. Dopo la guerra e dieci anni di apostolato oscuro come parroco di paesi poveri della Toscana, approda in Vaticano. Qui diventa, nientemeno, segretario del cancelliere di Santa Romana Chiesa, il cardinal Santiago Luis Copello. Potrebbe seguire i gradini di una carriera splendida, ma lo Spirito si diverte a scombinare i piani. Il 13 febbraio 1963 padre Jaguar, come lo chiamano, s’imbatte in un tossico buttato sugli scalini di una chiesa: «Aiutami zì pre’, sto male», gli dice quel ragazzo, un volto che Caravaggio avrebbe dipinto con scandolo dei benpensanti. Scocca la scintilla e don Pierino molla tutto, come don Gnocchi aveva piantato lì il Gonzaga e gli studenti dopo aver visto i mutilatini di ritorno dalla Russia.
La sua ricetta, mentre teologi e doti discettano di teologia della liberazione e sfornano piramidi di documenti pararivoluzionari e cervellotici, è disarmante: Cristoterapia. Comincia ad abbozzare la sua comunità, recupera carrettate di giovani naufragati sulle siringhe e attraversa i bassifondi dell’umanità, sperimentando le invidie e i rancori di chi considera la missione un bel compitino. Resta impigliato in una truffa, viene arrestato, è additato insieme all’altrettanto celebre fratello, Frate Eligio, il cappellano del Milan considerato una sorta di Madre Teresa dei ricchi, è pure sospeso a divinis, poi viene prosciolto e rientra nei ranghi.
Nel 1981 quel prete così lombardo, carismatico e inaffondabile, approda ad Amelia e fonda la Comunità Incontro. I primi tempi sono catacombali: perquisizioni, sospetti, voci. Poi la Cristoterapia sfonda. Il resto lo fanno la popolarità televisiva, guadagnata negli anni Novanta davanti alle telecamere Rai di Rock Cafè, e le buone amicizie nel Palazzo, cementate col mastice di robuste prediche ultraortodosse: «Grazie Gianfranco per la legge antidroga - dice a Fini -. Affido a voi di An il compito di difendere i principi cristiani». Don Pierino è fatto così: si sbilancia, non cerca la diplomazia, ama i toni grandiosi e le scenografie ad affetto speciale. Quando Berlusconi entra nell’auditorium di Amelia, lui lo accoglie facendo intonare un Alleluja a tremila voci; Silvio contraccambia staccando un assegno da 5 milioni di euro. A sinistra, dove non amano le sue visioni del mondo in bianco e nero, dicono che a furia di abbracciare leader della Cdl sia diventato un cappellano del centrodestra; i suoi ragazzi, che di morte se ne intendono, affermano che si può andare all’altro mondo in tre modi: «Da uomini, da topi, da santi. Lui ha scelto la terza strada». È già successo che l’aureola sia stata preceduta da un corteo sinistro di calunnie inenarrabili.
Presto, comunque, capiremo; potrebbe arrivare un film già visto: mezze allusioni, frammenti di verbali, deposizioni di presunti supertestimoni. La posta in gioco non è solo l’immagine di questa tonaca di 82 anni.

Oggi la multinazionale fondata dal prete di Pozzuolo Martesana, presto celebrato in una fiction Mediaset, ha 265 centri (da dove sono passati più di 300mila giovani) e sul tema delle tossicodipendenze anche a sinistra si reclama maggior severità e un giro di vite. Facile allora provare col gioco sporco: gettare nel fango la bandiera dell’intransigenza.

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