Il Salone del libro non trova il suo Amadeus. E intanto gioca facile coi classici e i Nobel

Ancora da decidere il nuovo direttore. Inaugura la kermesse Svetlana Aleksievic

Il Salone del libro non trova il suo Amadeus. E intanto gioca facile coi classici e i Nobel

Ieri era il grande giorno per Torino: conferenza stampa di rito sabaudo per presentare l'edizione 2023 del Salone del libro, che si celebrerà dal 18 al 22 maggio al Lingotto. In realtà i giornalisti - e anche il popolo del Salone, che come tendenze e share è sovrapponibile a quello di Sanremo: sold out, genderless, servono più immigrati per leggere più libri, «L'Italia è un Paese fascista e razzista!», Lagioia al posto di Amadeus, Paolo Giordano a quello di Fedez, peccato che la Lipperini non sia la Ferragni - si aspettavano non tanto uno spoiler sul programma, ma il nome del direttore che affiancherà quest'anno l'uscente Lagioia (che alla fine, incredibilmente, ci mancherà) e poi lo sostituirà rimanendo in carica fino al 2026. Invece i vertici del Salone non hanno detto nulla. È da mesi che si aspetta il nome, ma niente.

Non annoieremo il lettore sul meccanismo perverso e ipocrita cui il Comitato direttivo deve attenersi per la nomina. Basti dire che l'aspetto squisitamente professionale - le capacità del candidato - è secondario rispetto a quello politico. E i politici - e la città di Torino, e il Salone, e tutti insomma - ne sono usciti malissimo. Ma questo è già stato detto.

Le cose nuove da dire sono altre. Ad esempio. Uno. Che la parte politica che ne è uscita peggio è la sinistra: aveva solo candidati di area (cinquanta su cinquanta più o meno) ma, come in un congresso del Pd, non sono riusciti a mettersi d'accordo. Troppe correnti, invidie, gelosie, veti incrociati. Se l'intellighenzia è cosa loro, si sono dimostrati stupidissimi. Potevano avere tutto con poco, otterranno poco rimettendoci credibilità. E la seconda parte politica che ne è uscita male è la destra: il governatore Cirio (Forza Italia), poteva e doveva farsi sentire, pensare per tempo un candidato, e sostenerlo. Invece ha ceduto ancora una volta alla sindrome da «concordia istituzionale» (che è un modo elegante per dire complesso di inferiorità culturale nei confronti della sinistra locale), e non otterrà niente.

Due. Che alla fine i direttori invece che uno, e basterebbe e avanzerebbe, saranno due. Lo scrittore Paolo Giordano, che è un po' l'edizione economica di Lagioia; e Elena Loewenthal, attualmente direttrice del Circolo dei Lettori, che è una Lagioia col giro di perle. Cosa meglio di due torinesi, e per di più - cuori rossi e quote rosa - un uomo e una donna? Comunque Paolo Giordano ha fatto la figura del ragazzino capriccioso (ha detto di No a consulenti di area «di destra», che noia). E la Loewenthal della furba: doveva essere la «vice», ora se le cose andranno come devono sarà parigrado.

Tre. Se i direttori diventano due, o si dividono lo stipendio, o lo si raddoppia. Immaginiamo la seconda.

Quattro. Poi ci sono quelli che sul carro non sono mai saliti, come Gianluigi Ricuperati, ma preferiscono dire che sono stati loro a scendere. Sono quelli che si fanno chiamare «agitatori culturali». Ciò di cui il Salone ha meno bisogno in assoluto.

Cinque. Alla fine ieri i capi del Salone hanno passato la mattina a farsi i complimenti (Giulio Biino, presidente del Circolo dei Lettori), a dichiarare che il prossimo Salone sarà il più grande e più bello di sempre, come sempre (Silvio Viale, presidente di Associazione «Torino Città del Libro»), a spiegare che «Il Salone è un luogo di pluralismo e di libertà, che va oltre le maggioranze politiche» (sic, Alberto Cirio).

Poi hanno annunciato il tema della prossima edizione: «Attraverso lo specchio» (un titolo a caso fra mille classici della letteratura), e che la scrittrice che inaugurerà il Salone sarà Svetlana Aleksievic, bielorussa, nata in Ucraina: un vero colpo di genio. A noi non sarebbe mai venuto in mente di telefonare all'ufficio stampa Bompiani.

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