"Rinuncio ad una gamba, ma non alla voglia di vivere!"

La storia di Paolo, un ragazzo varesino di 20 anni catapultato nella vita dei grandi per un tumore. Gli ha tolto la gamba, ma non la voglia di combattere

"Rinuncio ad una gamba, ma non alla voglia di vivere!"

"Avanti a testa alta e mai mollare". È proprio così che ho iniziato la mia nuova disAvventura. Dico nuova perché nel lontano 2008 mi diagnosticarono un osteosarcoma al ginocchio sinistro, un tumore maligno che all’epoca colpiva solamente una persona su 100 in Italia. La preoccupazione più grande era proprio la mancanza di studio verso quel mostro e la difficoltà di poter guarire. La malattia era già in stadio avanzato e la massa tumorale si era espansa per 19 cm per 8 cm. Ma non è stato. Ho avuto la mia prima vittoria contro il cancro nonostante le difficoltà incontrate durante il cammino, lungo, impervio, ma anche divertente e ricco di emozioni. Mi piace dire che rifarei tutto e dico tutto quello che ho passato in quegli anni di ospedale. Potrei passare per un pazzo, ma ho la capacità di trovare sempre qualcosa di positivo anche in situazioni estremamente difficili.

L’avventura non termina qui, dopo pochi mesi dal termine delle chemioterapie, un nuovo scontro contro il destino. Si ritorna in ospedale, questa volta per una recidiva al polmone destro; altri cicli di chemioterapia e nuove cicatrici impresse sulla pelle, quasi come fossero tatuaggi di guerra. Passano gli anni, si diventa grandi e la voglia di vivere cresceva a dismisura e sempre con la speranza di abbandonare definitivamente il pensiero di poter tornare su un letto d’ospedale, e intanto terminai gli studi all’alberghiero “De Filippi” di Varese. Il mio obiettivo nella vita è quello di diventare chef, ma i sogni si interrompono per l’ennesima volta. Un altro gonfiore si ripresenta, sempre sulla gamba sinistra, ma questa volta localizzato più in basso, poco sopra la caviglia. Controlli approfonditi fanno emergere una rottura importante della tibia, parte restante che reggeva la protesi interna.

Qui le soluzioni non erano molte. I medici volevano intervenire con una nuova operazione riparatoria. Ho voluto ascoltare diverse voci prima di prendere una decisione. Milano, Bologna, Germania, tutti e tre gli ospedali ortopedici proponevano soluzioni differenti e non tanto convincenti. Ora stava a me prendere la decisione finale. La difficoltà più grossa stava nel giustificare la mia scelta ai miei familiari, ma alla fine ho deciso per l’amputazione. L'unica strada che potesse essere, secondo me, una via di fuga verso una vita migliore.

I dottori mi hanno lasciato fino all’ultimo minuto la possibilità di poter cambiare idea e per un dottore o chirurgo che sia, l’idea di amputare può risultare una sconfitta enorme. D’altronde ho dovuto prendere una decisione, una decisione che cambiava la mia vita.

Mi sento chiedere spesso se ho avuto e se ho tutt’ora ripensamenti su questo atto di pazzia. La mia risposta resta sempre invariata: “Perché dovrei?” ad oggi questo arto di ferro mi permette di fare quasi tutto, molte più cose rispetto agli anni precedenti.

Sono felicissimo di come

sto affrontando questa nuova vita e se dovessi incontrare qualcuno in difficoltà potrei solo che consigliare di non avere paura, di non mollare mai le redini della propria vita e soprattutto di fare ciò che dice il cuore.

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