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Uno scoop e mille polemiche

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È davvero «inventato» il matrimonio fra Benito Mussolini e la trentina Ida Dalser, che il regista Marco Bellocchio racconta nel film Vincere, da poco uscito sugli schermi? Se ad affermarlo, sul Giornale, è uno storico come Giordano Bruno Guerri, che sul fascismo ha scritto fior di libri, sembrerebbe proprio di sì. «Bellocchio falsifica. Vi racconto la vera storia del figlio del Duce», così il titolo uscito nelle pagine di Cultura e Spettacoli l’altroieri, martedì. Scriveva Guerri: «È un falso grave una delle scene centrali di Vincere, quando Mussolini e la Dalser vengono fatti sposare (addirittura in chiesa), durante la Prima guerra mondiale. A chi glielo faceva notare - ieri, a Porta a Porta - il regista ha ribattuto che la scena era un sogno della Dalser, ma nel film non appare così evidente, e lo stesso Bellocchio ha detto in un’intervista che Mussolini “fu a lungo bigamo”».

Ma si dà il caso che la storia di quel matrimonio fosse stata raccontata il 18 marzo 2001, sempre in Cultura, da un’altra firma del Giornale, Stefano Lorenzetto. E proprio da quell’articolo - due intere pagine - era nato l’interesse del regista Marco Bellocchio per la figura di Ida Dalser, prima moglie di Benito Mussolini, e del figlio Benito Albino, fatti morire entrambi in manicomio dal Duce. Si trattava di una minuziosa ricostruzione delle solitarie ricerche compiute da uno studioso trentino, Marco Zeni, che aveva suscitato l’apprezzamento persino dello scrittore Aldo Busi in una lettera indirizzata al direttore del Giornale: «In volo da Atene a Roma (questo per dire come mi è capitato fra le mani il Giornale) ho letto l’intervista di Stefano Lorenzetto. Grande pezzo, grande compagnia; erano secoli che non leggevo un’intervista così narrativamente ben strutturata e ben scritta, così avvincente e coraggiosa...».

Non che la vicenda di Ida Dalser fosse una novità. In passato se n’erano occupati giornalisti come Oriana Fallaci e Alfredo Pieroni e storici come Renzo De Felice, Denis Mack Smith, Antonio Spinosa e Arrigo Petacco. Ma era la prima volta che veniva lumeggiata in tutti i suoi aspetti con dovizia di particolari, tanto che fu giudicata attendibile dallo stesso Mack Smith e valse a Lorenzetto il premio Saint Vincent. È di grande interesse, pertanto, lo scambio epistolare, pubblicato in questa pagina che segue all’articolo a firma di Giordano Bruno Guerri.

Ricordiamo qui al lettore alcuni dati fondamentali per la comprensione della vicenda, attenendoci a quelli non messi in dubbio in questo dibattito. Ida Dalser (1880-1937) era originaria di Trento e si stabilì a Milano nel periodo precedente alla Prima guerra mondiale. La Dalser conobbe Benito Mussolini con cui ebbe una relazione (provata da lettere). Nello stesso periodo Mussolini intratteneva almeno un’altra relazione, quella con Rachele Guidi che sposò, con matrimonio civile, il 17 dicembre 1915. L’11 novembre 1915 la Dalser mise alla luce un bambino a cui diede il nome di Benito Albino, riconosciuto da Mussolini con atto sottoscritto davanti al notaio Buffoli di Monza l’11 gennaio 1916. Con l’avvento del fascismo le dichiarazioni pubbliche della Dalser divennero sempre più compromettenti per il Duce.

La Dalser venne internata in ospedale psichiatrico sino alla morte, nel 1937.

Quanto a Benito Albino, dopo il primo ricovero coatto della madre fu mandato in collegio e poi adottato. Benito Albino manifestò più volte la sua presunta parentela con il Duce. Venne anche lui rinchiuso in un istituto psichiatrico, dove morì nel 1942.

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