Scoperti cinquemila «nuovi» lemmi etruschi. E il dizionario si aggiorna

Aggiornata la monumentale opera con cui Massimo Pallottino nel 1978 svelò la lingua etrusca. Ora si scopre che la parola «satellite» è più antica della cultura latina e che per dire figlio gli etruschi usavano l'espressione «clan»

Come si dice in etrusco figlio? «Clan». Figlia? «Sekh». Piatto? «Spanti». Per un secco no, dovremmo invece rispondere «ein». La lingua di questa affascinante civiltà emerge dal mistero in cui è stata avvolta per secoli. Le più recenti ricerche archeologiche, filologiche ed epigrafiche hanno consentito il raggiungimento di grandi traguardi nella comprensione della sua struttura e dei suoi vocaboli. Agli ottomila lemmi pubblicati nella prima edizione del «Thesaurus linguae etruscae» (Fabrizio Serra editore) del 1978 da Massimo Pallottino, padre degli etruscologi italiani, se ne sono ora aggiunti cinquemila nella seconda edizione, curata con un nuovo approccio critico da Enrico Benelli, ricercatore dell'Istituto di studi sulle civiltà del Mediterraneo antico (Iscima) del Consiglio nazionale delle ricerche.
«Le nuove acquisizioni - spiega Benelli - si devono al fatto che gli studi, a partire dagli anni Settanta, non solo sono aumentati, ma si sono estesi anche territorialmente interessando aree nuove. Se fino agli anni Cinquanta il bacino di provenienza dei reperti e delle testimonianze era limitato all'Etruria settentrionale, corrispondente alle province di Grosseto, Arezzo, Siena e Perugia, nei decenni successivi, le indagini si sono allargate all'Etruria meridionale (viterbese e parte dell'Umbria) ricca di testimonianze dal settimo al quarto secolo a.C.»
Le parole raccolte nel Thesaurus sono perlopiù nomi di persona e termini tratti dal lessico funerario e sacro. Grazie ai rinnovati studi è stato possibile sciogliere alcuni nodi cruciali nella comprensione dell'etrusco: la struttura dell'idioma, individuando verbi, aggettivi e i principali elementi grammaticali e la pronuncia.
«L'etrusco, che cadde in disuso intorno alla prima metà del primo secolo a.C. - continua Benelli - ha un alfabeto di 24 lettere, prevede l'uso di più morfemi, quali singolare, plurale, caso; ha una struttura molto diversa dalla maggior parte delle altre lingue parlate in Italia e nel bacino del Mediterraneo e pur non avendo un'origine indoeuropea, fu influenzato dagli idiomi dei popoli indoeuropei confinanti in area sabina ed umbra».
Di origine etrusca è, tra le altre, la parola satellite, derivante dal termine «Zatlath», che significa «colui che brandisce l'ascia» ovvero «l'uomo di scorta», passata al latino «satelles» e attestata per la prima volta nelle lingue moderne da Galileo Galilei.

Il corpus presenta una sistemazione ragionata delle testimonianze linguistiche, ordinata per lemmi, per attestazioni di ogni parola, con l'indicazione bibliografica e la citazione dell'intero segmento di testo nel quale il vocabolo compare; luogo di provenienza e cronologia. La raccolta fornisce l'evoluzione nel tempo e l'uso regionale di ogni termine.

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