Una giornata come un'altra nel Mar Cinese meridionale. Tre cacciatorpedinieri classe Arleigh Burke procedono con rotta sud-sudovest a diciotto nodi. Nella zona la tensione militare tra la Cina e gli alleati degli Usa, come le Filippine, è sempre alta: le tre navi sono lì per garantire il rispetto di quelle che vengono considerate acque internazionali da tutti... Tranne la Repubblica Popolare Cinese. Ad un certo punto le navi americane vedono quello che sembra un peschereccio in fiamme e in difficoltà. Si avvicinano. Il peschereccio non sembra intenzionato a chiedere aiuto, anzi, l'equipaggio, chiaramente cinese, si affanna per tener lontani gli americani... Quasi contemporaneamente un aereo F35 dell'Usaf vola sul confine iraniano per testare i suoi nuovissimi sistemi di guerra elettronica. Poche ore dopo le navi americane saranno ridotte a rottami fumanti e il preziosissimo F35 sarà catturato dagli iraniani dopo che - come per magia - qualcuno è riuscito ad hackerare completamente il suo sistema di guida pilotandolo al suolo come fosse un aeroplanino telecomandato per bambini...
Comincia più o meno così il romanzo 2034 (Sem, pagg. 304, euro 18; in libreria dal 28 ottobre), scritto a quattro mani da Elliot Ackerman (bestsellerista con un passato nelle forze speciali e di consulente della Casa Bianca) e l'ammiraglio James Stavridis (già a capo dell'Us European Command). Il 2034 del titolo è l'anno in cui i due analisti immaginano che, proprio a partire dal Mar della Cina, si scateni una terza guerra mondiale, sebbene atipica e combattuta «su piccola scala».
La narrazione, che vede gli Usa sorpresi dalla capacità cinese di mettere al tappeto tutti i loro sistemi ad alta tecnologia, è portata avanti col piglio del miglior thriller. Ma la cosa stupefacente è prendere atto di quanto la cronaca di questi giorni sembri adattarsi perfettamente, quasi fosse un prequel, agli scenari descritti in questo romanzo dove la fantastrategia è molto poco «fanta». Abbiamo visto la geopolitica andare in subbuglio per gli otto sottomarini nucleari che l'Australia ha deciso di comprare dagli Usa proprio per difendersi dall'aggressività in mare di Pechino. Così come i continui sconfinamenti della componente aerea dell'Esercito di liberazione popolare nei cieli di Taiwan hanno fatto salire alle stelle la tensione negli ultimi giorni. Tanto che si è parlato di rischio di invasione addirittura entro il 2025... Del resto il pluridecorato Ackerman, che avevamo già intervistato per le pagine del Giornale anni fa, ha sfornato, tra gli altri, un romanzo sul conflitto afghano Prima che torni la pioggia (Longanesi, 2016) in cui si poteva leggere in filigrana il disastro militare a cui ora siamo andati incontro.
In questo caso lo sforzo dei due analisti si proietta in là nel tempo, ma su rotte che, se speriamo non probabili, hanno perfettamente senso. Senza voler rovinare la suspence a chi leggerà il libro, possiamo anticipare qualcosa. Uno dei rischi paventati da molti esperti di strategia è proprio l'incapacità dei due contendenti - il blocco occidentale e la Cina - di prevedere con esattezza le mosse dell'altro. Se russi e americani, durante la Guerra fredda, giocavano una partita a scacchi di cui tutti conoscevano le regole, in questo caso bisogna tener presente che i cinesi giocano a Go, un gioco vecchio duemilacinquecento anni con miliardi di combinazioni possibili. Esattamente come la loro filosofia militare si basa sugli insegnamenti del mitico Sun Tzu che nell'Arte della guerra suggerisce che la miglior strategia sia la «non forma», la non prevedibilità. Solo che Sun Tzu ragionava in un'epoca di archi e balestre, non in un'epoca in cui un nemico spaesato e disperato possa reagire con ordigni nucleari... Questo rischio nel romanzo 2034 si manifesta in pieno quando generali e ministri cinesi mettono in campo un astuto piano per travolgere rapidamente gli Usa e costringerli alla pace dopo aver strappato un preciso predominio in un settore limitato. Un piano per prendersi la gestione del cuore del Pacifico tutto basato su un'idea precisa: «Una volta che gli avremo dimostrato di essere più forti distruggendo la loro flotta non oseranno mai una reazione spropositata perché non ha senso». Peccato che esista l'orgoglio Usa, peccato che magari in un conflitto così altre potenze, come i russi, possano metterci lo zampino per trarne vantaggio, magari infliggendo agli Usa un altro e più temibile attacco informatico di cui la colpa poi ricada su Pechino...
Anche in questo Ackerman e Stavridis dosano al millimetro l'immaginazione. Quando la guerra «sfugge di mano» vengono lanciate «soltanto» quattro testate nucleari tattiche in una escalation di ritorsioni specifiche. Niente apocalisse soprattutto - altro corretto ragionamento geopolitico - perché intervengono potenze esterne, tra cui l'India, a frenare la crisi. Però dopo che un'atomica dello zio Sam è finita sopra Shanghai e anche San Diego finisce in cenere, è ovvio che il mondo non sarà più lo stesso.
Siamo davvero di fronte a un orizzonte simile? Un romanzo è solo un romanzo, ma libri che prevedevano la pandemia, come Spillover di David Quammen, ci hanno sostanzialmente azzeccato. Insomma il romanzo è un bell'avvertimento, soprattutto in quei passaggi in cui mostra come le strategie militari poi debbano fare i conti con incidenti, falle dell'intelligence, incomprensioni. Come diceva il generale Molke, «ogni piano regge soltanto sino all'incontro col nemico». Ma gli effetti di questa constatazione possono anche portare verso l'abisso.
E il rischio è di andarci come «sonnambuli» per usare la definizione dello storico Christopher Clark che la riferì a quei politici che andarono verso il primo conflitto mondiale senza accorgersene. Ackerman e Stavridis tentano di svegliarci, anche perché è difficile negare che, sino a qui, l'Occidente abbia dormito e negli ultimi due anni un sonno febbricitante.
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