Una copia del Giornale e dentro l'ultimo numero di Paperino. Il professor Emilio Biagini li tiene sotto il braccio. E ridacchia. Provocazione? Macché, solo senso e gusto del linguaggio, un nuovo romanzo nel cassetto e un sito da visitare www.itrigotti.it.
Ordinario di geografia alla Facoltà di Lingue dell'Università di Cagliari, pattina sulle anime dei suoi stili, schizza saggi e costruisce romanzi. O forse il contrario. O forse no. Dipende in quale studio pensa e in quale scrive, ma i disegno è uno e uno solo: la tensione al Sommo Bene che marchia a fuoco i rigorosi volumi sulle Isole Britanniche e i suoi romanzi dell'anima, da «La Luce» al «Labirinto oscuro».
Saggista, romanziere, sceneggiatore, scrittore di teatro, cinque lingue e sei borse di studio. Ma che storia è la sua, professor Biagini?
«Ho 69 anni, ho cominciato a scrivere a 6, a 14 ero già appassionato di Dante e Shakespeare e a diciannove ho iniziato a scrivere la Luce. Ma il lavoro mi ha portato a viaggiare e divulgare scientificamente i miei studi, culminati dopo 23 anni di lavoro nei tre volumi sulle Isole Britanniche».
E l'altra anima, quella che frugava per garantirsi fiato?
«Scrivevo di nascosto, per me, senza avere di idea di quanto valesse. La Luce ad esempio ha avuto 46 anni di gestazione. L'ho ripreso in mano a Cagliari: quando tornavo a Genova accendevo di nascosto il computer che spegnevo quando mia moglie cercava di capire cosa scrivessi. E giusto per non insospettirla (ammicca malizioso) ho cominciato a leggerle qualcosa».
Vergogna di questa sorta di schizofrenia?
«Niente schizofrenia, se uno studia il metodo matematico per valutare il reddito generale della spiaggia o la teoria dei frattali, capisce bene che come romanziere può spiazzare, no?».
La reazione di sua moglie Maria Antonietta Novara, scrittrice?
«Legge e stupisce. Le piacciono e li passa a Piero Vassallo».
Un modo per dare la stura ad una scrittura parallela.
«Faccio satira ne Saccenti ed altri serpenti. Scrivo la Trilogia dell'Apocalisse e gli editori cattolici mi sbattono la porta in faccia. Ma non credo nella poesia. Fino all'800 era legata alla musica e penso ai lied, ma col '900 perde ritmo e la musica è diventata quella schifezza che è».
Dove s'è fermata la musica?
«Brahms, volendo Debussy».
Ci va giù duro, professore. E di Montale che mi dice?
(Smorfia di disappunto) «Salvo T.S. Eliot e le enuncio i principi della narrativa di Biagini: sempre iniziare dalla fine».
Continua a stupirmi professore...
«Capita spesso di leggere romanzi avvincenti che scivolano su finali banali. È per questo che parto dal fondo: è il principio della cattedrale la cui costruzione partiva dall'abside».
Le altre linee guida?
«Riscrivere, riscrivere, riscrivere (il Labirinto l'ho iniziato a 25 anni); e niente autobiografia, l'esperienza è solo un punto di partenza: se da lì non riesci a costruire una trama, meglio lasciar perdere. È così che nello studio due, ovvero il bagno di servizio, medito, e nello studio uno, quello con tutti i crismi, scrivo fino a notte fonda».
Il romanzo cui sta lavorando?
«I giusti del Prato Alto a quattro mani con mia moglie. È la celebrazione dell'Europa cattolica profonda, simbolizzata da questo paese austriaco da prima delle venuta di Cristo al 2010. La componente religiosa è fortissima, a tratti dirimente».
Cos'è il suo scrivere?
«Dare lode a Dio e cercare di acchiappare qualche sviato».
E ha successo in una società che pubblicizza sugli autobus l'ateismo?
«No, ma tutto quanto abbiamo fatto di buono resterà. Sopra c'è sempre la Luce, la speranza della salvezza».
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