Chiang Mai
Molti conoscono la Thailandia soprattutto per le spiagge magiche, la tranquillità tipica del Sud-Est asiatico e la vita notturna di Bangkok e Pattaya. Ma c'è un'altra parte del Paese, a sud, al confine con la Malesia, meno conosciuta e lontana dalle mete dei turisti occidentali, fatta di scontri a fuoco e ripetuti attentati.
Siamo nelle province di Pattani, Narathiwat, Yala, Songkhla e Satun: qui vivono circa due milioni di persone a maggioranza musulmana. L'etnia dei Malay, che ha una propria cultura, una propria tradizione e anche una propria lingua, lo yawi, molto simile al malese, rivendica la propria autonomia. Armi in pugno, ormai da decenni. Il conflitto, che viene considerato a «bassa intensità» dagli esperti, ha origini antiche. Queste province un tempo formavano il Sultanato di Pattani, poi annesso al Regno del Siam all'inizio del Novecento. Ed è proprio per questo che i ribelli musulmani richiedono di staccarsi dal governo di Bangkok.
Le violenze hanno subito un significativo incremento nel 2004, dopo quello che viene ricordato come il «Massacro di Tak Bai». In quell'occasione la repressione delle forze di sicurezza thailandesi ha provocato la morte di oltre settanta persone. Era il 25 ottobre di quindici anni fa, quando nel piccolo villaggio della provincia di Narathiwat, la polizia ha iniziato a sparare per disperdere una manifestazione di circa 3mila persone scese in strada per richiedere la liberazione di sei uomini accusati di aver fornito armi a gruppi separatisti. Le immagini di quella giornata, che mostrano i corpi senza vita avvolti in sacchi di plastica, hanno fatto il giro del mondo e da più parti è stato chiesto di fare piena chiarezza sull'accaduto. Una chiarezza che non è mai arrivata. Da quel giorno le violenze non si sono fermate e hanno provocato, fino a oggi, la morte di quasi settemila persone.
Le ultime vittime, in ordine di tempo, sono stati due poliziotti: Nares Iedthong e Ruswaidi Samae, uccisi il 27 febbraio. I due agenti stavano prendendo un tè in un piccolo laan (negozietto) nel paese di Cho I-rong, quando all'improvviso i guerriglieri hanno fatto irruzione. Gli uomini sono stati sequestrati e uccisi poco dopo. Il 18 gennaio scorso quattro monaci buddisti, sono stati assassinati in un attacco lanciato dai ribelli nel tempio di Ratananupab, nella cittadina di Padang Su-ngai. Secondo le autorità, l'azione sarebbe stata fatta per vendicare l'uccisione di Ali Mali, un miliziano ricercato dal governo, avvenuta nella stessa mattinata durante uno scontro a fuoco con le truppe thai. A meno di un'ora dall'uccisione di Mali, due bombe sono esplose in altri parti del sud del Paese. La prima nel villaggio di To Deng, dove un ordigno rudimentale ha ferito lievemente cinque soldati. Un secondo attacco, avvenuto a Nong Chik nella provincia di Pattani ha lesionato gravemente due poliziotti.
L'8 gennaio, un insegnante buddista in pensione è stato trovato morto nella sua casa nel distretto di Saba Yoi, a Songkhla. Ore più tardi il suo camion, che era stato rubato, è stato fatto esplodere nelle vicinanze di un avamposto della polizia a Thepa. Due giorni dopo, il 10 gennaio, i ribelli musulmani hanno ucciso a colpi di arma da fuoco quattro volontari che erano a guardia di una scuola elementare statale a Yaring, nella provincia di Pattani. E la lista potrebbe continuare all'infinito. Le pagine dei giornali nazionali riportano notizie di morti e feriti nel Sud del Paese quasi ogni giorno.
In questi ultimi quindici anni di guerra, i ribelli hanno dato fuoco a decine di scuole statali, considerate uno strumento di propaganda del governo per far assimilare la cultura buddista ai musulmani che abitano in questa regione. La guerriglia separatista è divisa in vari gruppi e ognuno opera autonomamente. Secondo le autorità, attualmente, sarebbero attive circa venti organizzazioni. Sei di queste, con l'obiettivo di iniziare delle trattative di pace con Bangkok, si sono riunite nel 2014 sotto il nome di Mara Patani. Ma i negoziati per un cessate il fuoco, che sono stati bloccati e ripresi in numerose occasioni, risultano veramente difficili. Questi gruppi non hanno un unico leader. E non tutti combattono per lo stesso motivo: alcuni richiedono l'autonomia, altri vorrebbero l'annessione alla Malesia.
La Thailandia è un Paese quasi esclusivamente buddista e in tutti questi anni non ha mai cercato di capire le richieste dell'etnia Malay. Per il governo, infatti, le violenze sarebbero solo da collegare alla criminalità comune. Ma in realtà, oltre a non corrispondere alla verità, Bangkok ha tutto l'interesse a far sì che il sud ribelle rimanga sotto il proprio controllo, anche per questioni strategiche ed economiche. Infatti, nel Kra Istmo, al confine con la Malesia, potrebbe nascere un nuovo sbocco tra Oceano Indiano e Pacifico. Del progetto del «Canale di Kra» si parla da anni e permetterebbe di collegare il Golfo di Thailandia all'Oceano Indiano, formando una valida alternativa allo stretto di Malacca, tra Malesia e Indonesia, un tratto di mare pieno di insidie e di pirati.
Finora gli attacchi dei ribelli musulmani non hanno colpito le zone affollate dai turisti. Ma la paura è che gli attentati si possano spostare in quella parte del Paese che i viaggiatori occidentali conoscono molto bene.
E se è vero che non si hanno notizie concrete circa possibili collegamenti di queste organizzazioni armate con gruppi legati allo Stato Islamico o ad Al Qaeda, non si possono escludere che nell'ultimo periodo ci siano stati dei contatti. D'altronde, come sappiamo bene, il Sud-Est asiatico è da tempo nel mirino del terrorismo jihadista. E anche il «Paese dei Sorrisi», cosi come viene chiamata la Thailandia, potrebbe essere sotto tiro.
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