Se Obama dimentica Lehman, Jp e Goldman

Il presidente Usa è in campagna elettorale. La demagogia anti-europea diventa un’arma per scaricare responsabilità economiche

«Non ha senso rinviare le responsabilità. Bisognerebbe chiedere a Obama dove è nata la crisi finanziaria, non certo in Europa». Così ha risposto, ieri, il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, alla Casa Bianca che, da qualche giorno, insiste sul concetto di un’Europa debole di fronte alla crisi. «Siamo pronti - ha dichiarato il portavoce di Obama, Jay Carnay, in diverse occasioni, l’ultima ancora ieri - a isolare l’economia Usa dall’impatto della crisi in eurozona». Ma al di là dei campanilismi Usa-Europa e dei botta e risposta come questi tra la prima e la quinta potenza mondiale, ci sembra di poter chiarire due o tre punti fermi. Il primo è che Obama è in campagna elettorale: il 6 novembre prossimo si vota per le presidenziali e il leader uscente è per niente sicuro di vincere. In questa prospettiva, con la crisi economica che morde anche i garretti yankee, la demagogia anti-europea diventa un’arma utile per scaricare le responsabilità delle difficoltà economiche su qualcun’altro. Il secondo è che, come ha ricordato ieri lo stesso Fabius anche se non ce n’era bisogno, la banca d’affari Lehman Brothers non è europea: è con la bancarotta della banca d’affari Usa che è iniziato, il 15 dicembre 2008, il contagio. Il buco di 130 miliardi di dollari tra attività e passività sui libri Lehman ha innescato una serie di insolvenze a catena che si sono distribuite e amplificate tra le controparti bancarie di tutto il mondo. E il problema di Lehman era legato all’abuso della finanza e degli strumenti più complessi tipico delle banche d’affari Usa, per cui la qualità degli attivi era semplicemente falsificata. E per chi non fosse convinto, basta ricordare che un altro colosso americano dell’investment banking, la JpMorgan, ha denunciato perdite per 2 miliardi (poi lievitati fino a 4, ma non è ancora chiaro quanti sono) per operazioni su prodotti derivati. E non nel 2008, ma meno di un mese fa: clamorosa testimonianza del totale fallimento della politica di Obama a Wall Strett. Il terzo punto da non dimenticare è che è stata un’altra banca americana, Goldman Sachs, a essere determinante per l’ingresso della Grecia nell’euro, nel 2002, fornendo ad Atene la necessaria consulenza finanziaria, anche a fronte di bilanci pubblici poi rivelatisi falsi. Per questo e per le linee di credito erogate allo Stato greco, Goldman è stata profumatamente retribuita.

E a chi ama pensar male sorge naturale un dubbio: ma se Goldman conosceva così bene il baco dell’euro, possibile che poi non ne abbia approfittato? Nessuno meglio di chi l’aveva costruito poteva poi speculare e mandare l’euro al tappeto. Come sta succedendo.

Twitter: @emmezak

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