Seychelles, Tonino lavorò più da 007 che da pm

Nel 1984 l’ex magistrato Di Pietro andava a caccia di Francesco Pazienza: ecco il dossier. Ma il faccendiere legato ai servizi lo spiava. E scoprì che le informazioni finivano al Sismi. 

Seychelles, Tonino lavorò più da 007 che da pm

nostro inviato a Bergamo

Arcipelago delle Seychelles, Oceano Indiano, 20 novembre dell’anno del Signore 1984. Mancano cinque anni alla caduta del muro e nella lontanissima isola del presidente marxista Albert René, sincero amico del Cremlino, si materializza un turista italiano dall’accento molisano. Ha i capelli pettinati all’indietro, si accompagna a una signora. Indossa vistose camice a fiori, ha una stanza prenotata al San Souci Hotel, gira con una jeep presa a noleggio. Ma anziché frequentare belle spiagge per rinfrescarsi e fare diving, il turista si muove con circospezione: scatta fotografie di nascosto, resta accucciato nella sua MiniMoke, si intrattiene con brutti ceffi locali controllati dalla polizia. Nei posti più impensati, alle persone meno indicate, chiede se sanno qualcosa di un certo Francesco Donati, nome di copertura di Francesco Pazienza, il celebre faccendiere superlatitante inseguito da svariati mandati di cattura (dalla creazione del Supersismi al crac Ambrosiano) a cui gli apparati di intelligence di mezzo mondo danno la caccia.

KIM E I SUOI AGENTI
Gli 007 del posto, con il terribile nordcoreano Kim a capo di una squadretta di asiatici sbrigativi subentrati a indolenti segugi tanzaniani, impiegano pochi minuti a inquadrare quel gitante fai da te. Lo pedinano, gli installano microspie in macchina, intercettano il telefono della stanza, non lo mollano un secondo. Lui, l’italiano con la camicia floreale, non si accorge di avere il fiato sul collo. Mai. Nemmeno quando si ritrova a parlare di Pazienza con monsignor Paul Felix, il vescovo di lì. Più gli stanno addosso e più gli agenti segreti delle Seychelles si convincono che quell’uomo è una spia della Cia. O forse del Sismi, piuttosto che del Sisde, in quanto ogni sera - stando al libro scritto da Pazienza - relaziona telefonicamente in Italia sempre allo stesso numero e al medesimo interlocutore. Visti i tempi, e le modalità con le quali le agenzie affiliate al Kgb sono abituate a risolvere certe incombenze, quel ficcanaso molisano non immagina di avere le ore contate. Prima di simulare un incidente buttando giù da un dirupo di Mahé lui, la donna al seguito e l’auto in affitto, Kim chiede all’amico «Francesco Donati» di fare un ultimo controllo su quell’oscuro signore. E così nel mentre il villeggiante italiano si fa il periplo dell’isola con la macchinetta a nolo, l’italiano latitante corre al San Souci, spulcia fra le carte alla reception e al termine di una rapida incursione nella stanza d’albergo dei cattivi ragazzi di Kim, conclude che quell’escursionista impiccione è un giudice italiano: «Antonio Di Pietro, di professione magistrato della procura di Bergamo» sta scritto nei documenti. Un magistrato che fa la spia? No, non è possibile.

LA TRAPPOLA DI LUGANO
Pazienza non ci vuole credere. Per questo chiede agli sbrigativi agenti di soprassedere col «sinistro» mortale. Vuole prima capire cosa diavolo ci fa un pubblico ministero orobico nell’Oceano Indiano, chi ce l’ha mandato, per chi lavora, posto che mai si è vista una toga svolgere investigazioni di tal fatta che spettano, semmai, ad agenti segreti. Pazienza ragiona sul fatto che due iniziative del Sismi e del Sisde per catturarlo alle Seychelles hanno già fatto cilecca. Il faccendiere fa appena a tempo a convincere il colonnello nordcoreano e i suoi scagnozzi ad accantonare lo speronamento, che quel tal Antonio Di Pietro abbocca all’amo appena lanciato dal connazionale latitante. Che s’inventa il diabolico Pazienza? Attraverso le sue mille conoscenze nel mondo dell’intelligence fa arrivare al turista in toga la notizia (falsa) che lui, Pazienza, si sarebbe trovato all’aeroporto di Lugano il 13 dicembre successivo, in transito, per proseguire la fuga nell’Europa dell’Est. La soffiata serve a Pazienza per capire se le notizie acquisite alle Seychelles da quel magistrato di Bergamo finiscono ai servizi segreti italiani.

LO ZAMPINO DELLA STASI
Contemporaneamente, stavolta per il tramite delle buone entrature di cui gode nella Stasi tedesca, Pazienza fa recapitare all’intelligence elvetica la notizia che il 13 dicembre all’aeroporto di Lugano alcuni funzionari italiani avrebbero proceduto all’arresto di un loro connazionale in circostanze singolari: se fossero stati poliziotti, racconterà Pazienza, allora vi sarebbe stata la prova che Tonino agiva – seppur con modalità anomale – per canali istituzionali. Se invece ad aspettarlo si fossero presentate barbe finte del Sismi o del Sisde, beh, allora il discorso sarebbe stato diverso e più complesso. Com’è finita? Con un’operazione di controspionaggio certificata da un comunicato ufficiale del ministero dell’Interno svizzero nel quale si dà atto che due appartenenti a un servizio segreto italiano (un colonnello e un maresciallo del Sismi, ndr) sono finiti in manette al varco transiti. Passato un mese in cella, i due 007 tricolori vengono espulsi e la faccenda è messa a tacere. Per sempre. Nel frattempo, alle Seychelles, solo grazie a Pazienza il buon Di Pietro torna a casa sano e salvo. Ma questo dettaglio, Tonino, lo scoprirà solo anni dopo. Il periodo del viaggio incriminato è quello del novembre-dicembre 1984. Pazienza è uccel di bosco e se nessuno lo rintraccia è anche grazie all’uomo d’affari Giovanni Mario Ricci, amico del presidente René (di cui Pazienza diventerà amico) che depisterà il Sisde in un’altra operazione finalizzata a catturare la primula italiana.

IL FANTASMA DI MARCINKUS
Il faccendiere latitante è temuto dalla Santa Sede per quel che sa su Marcinkus e su certi conti vaticani. I politici nostrani hanno paura di quel che il faccendiere può conoscere a proposito del Conto Protezione (ancora non noto), dei documenti contenuti nella borsa di Calvi, del crac Ambrosiano, e di tant’altro ancora. A cominciare dal cosiddetto «Supersismi» parallelo alla P2 su cui indaga il pm romano, Domenico Sica, che sarebbe in strettissimi rapporti con l’ammiraglio Fulvio Martini, storico capo di quell’intelligence militare a cui arrivavano le informazioni «vacanziere» di Antonio Di Pietro. Stando a quel che ha riferito successivamente Pazienza, «le informazioni raccolte da Di Pietro finivano al Sismi e non c’erano dubbi... e le passava a un altro magistrato che poi le riversava a Martini». L’ammiraglio ha negato di sapere dei rapporti Sica-Di Pietro ma ha confermato d’aver saputo che Pazienza si nascondeva proprio in quell’isola attraverso intercettazioni telefoniche. Questa è la storia. Passiamo alla cronaca.
Il signor Di Pietro il 18 gennaio scorso è intervenuto in modo ironico e beffardo sull’oscura vicenda del suo viaggio nell’Oceano Indiano. Ma come talvolta gli capita si è dato, per dirla nel suo slang, la zappa sui piedi. Vediamo come. Intanto dice che si trovava «nel ’94 (l’84, ndr) alle Seychelles sì, ma per le vacanze natalizie» quando in realtà non era proprio periodo di feste comandate essendo partito a metà novembre.

IL GIALLO DEL FOTOGRAFO
Dopodiché l’ex pm di Mani pulite fa riferimento a un amico fotografo italiano «dal quale io e mia moglie ci fermammo a cena e qui conoscemmo altre persone che segnalarono, fra una chiacchiera e l’altra, che nell’isola c’era un noto latitante italiano, appunto Francesco Pazienza». Come potete leggere a fianco, nel suo rapporto riservato Di Pietro dice invece di esser stato contattato da una persona di fiducia del vescovo locale, il quale vescovo «venuto a conoscenza che nell’isola si trovava un magistrato italiano chiedeva un colloquio per scambiare alcune informazioni di cui era a conoscenza». Dopodiché, sempre Tonino, spiega che di ritorno da casa del fotografo «appuntai la notizia e quando tornai in Italia feci quello che avrebbe dovuto fare qualsiasi cittadino italiano, specie se pubblico ufficiale (ed io ero addirittura un magistrato): informare immediatamente le competenti autorità». E quale autorità competente informò Tonino? Il giudice Sica, «che stava indagando su Pazienza e a cui inviai la mia relazione».

I RAPPORTI CONL GIUDICE SICA
E lo informò tempestivamente? Proprio tempestivamente non sembra: perché se la partenza per le Seychelles è del 20 novembre 1984, e lo stratagemma di Lugano è del 13 dicembre, il suo rapporto su Pazienza è del 15 gennaio dell’anno successivo.

Quanto ancora alla notizia «appuntata» c’è da dire che nella relazione Tonino racconta davvero tutta un’altra storia: oltre al vescovo (che senza conoscerlo ma fidandosi del suo essere magistrato italiano, lo avrebbe messo a conoscenza di segreti su Pazienza) parla di fotografie da lui personalmente scattate all’insaputa dei testimoni che gli parlavano di Pazienza. Parla di cose riservate e tante altre cose condensate in un «rapporto informativo riservato» che, da che mondo è mondo, è farina del sacco di uno sbirro non di un magistrato della Repubblica.

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