Arrivederci, woke: gli americani sono stufi dell'inclusività esasperata

Da Walmart a Harley-Davidson, diverse catene hanno cancellato le iniziative DEI. E la vittoria di Donald Trump ha un ruolo marginale in questa svolta di buonsenso

Arrivederci, woke: gli americani sono stufi dell'inclusività esasperata
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La riscossa del buonsenso. O il tramonto dell’integralismo peloso. Da alcune settimane è in corso un cambiamento culturale negli Stati Uniti: basta con la religione woke e con la dottrina DEI, ossia diversità, uguaglianza e inclusione. Il messaggio è chiaro: l’inclusività esasperata non è utile, anzi è un pericolosissimo boomerang. Ma il dettaglio più interessante è un altro: la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali ha un ruolo marginale in questa svolta. Il motore di questa rivoluzione è la volontà degli americani di non sottostare a diktat idioti per compiacere questa o quella minoranza.

Uno dei casi più interessanti coinvolge la Walmart, la più grande catena al mondo nel canale della grande distribuzione organizzata, oltre dieci mila negozi e club in ventiquattro Paesi. Il colosso a stelle e strisce ha deciso di eliminare gradualmente i suoi programmi DEI: una revisione completa che prevede anche il ritiro dagli scaffali dei negozi di alcuni prodotti legati indissolubilmente alla wave woke, basti pensare ai libri per bambini con protagonisti transgender. La Walmart ha inoltre deciso di tagliare l’assegno da 100 milioni di dollari destinato al Center for Racial Equity, l'organizzazione non-profit fondata nel 2020 per dare una spinta alle aziende di proprietà di minoranze: priorità ad altri investimenti.

Non si tratta di razzismo, ma di una presa di coscienza: la DEI rappresenta una versione radicale di politica identitaria che gli americani respingono con forza. "Siamo disposti ad apportare cambiamenti per i nostri soci e clienti che rappresentano tutta l'America" la conferma di un portavoce della multinazionale al Wall Street Journal. Ma la Walmart non è l’unica realtà ad aver invertito il trend. Travolta dalle polemiche per la realizzazione di bootcamp Lgbt e la sponsorizzazione di eventi pride, anche la Harley-Davidson ha deciso di cancellare tutte le sue politiche DEI.

Sia chiaro: ogni azienda è libera di fare quello che vuole. Ma bisogna sempre fare i conti con i consumatori: perché investire denaro in iniziative molto distanti dalla clientela di riferimento? La risposta è semplice: per attrarre nuove fasce di potenziali compratori senza alienare la base principale. La maggior parte di queste svolte iper-progressiste è connessa al denaro, perché di fronte al calo di entrate si opta immediatamente per il dietrofront. Con buona pace dell’inclusività.

Basti pensare alla vicenda della Bud Light, marchio di birra di proprietà della Anheuser-Busch entrata in un vortice distruttivo per una partnership su Instagram con l’icona transgender Dylan Mulvaney. Anziché difendere la sua scelta, l’azienda ha interrotto la campagna pubblicitaria, realizzando una pubblicità “virile” per celebrare i valori americani. Ma gli esempi sono tantissimi: Meta e Google hanno deciso di ridurre le quote destinate alle minoranze, stesso discorso per Boeing, John Deere e Black & Decker.

Siamo di fronte al declino di un'ideologia della diversità controproducente, nata per espiare i peccati del passato.

A partire da un recente studio di Network Contagion, c'è una crescente letteratura che mostra che le politiche DEI aumentano le tensioni razziali anziché placarle. La soluzione è tornare al dialogo e alla bellezza del diverso, senza per questo dover dichiarare guerra al ricco maschio bianco eterosessuale.

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