"La campanella" racconta la dura battaglia che si combatte per insegnare davvero

Roberto Carnero spiega quanto sia difficile far crescere gli allievi con la "Dad"

"La campanella" racconta la dura battaglia che si combatte per insegnare davvero

Primo giorno di lezione. Primo anno di università. Ottengo l'aula magna. Voglio vederli in faccia, i miei studenti. Le lezioni a distanza, scacchiera di facce abuliche, sono inutili. Parto. Afflato wagneriano, concetti sconvolgenti, letture radicali. Un gruppo di alunni, durante la pausa, mi si fa di fronte. Dalla prossima settimana si torna a distanza, giusto? M'incazzo. No, perché sa... Sciorinano date, dati, giustificazioni, convenienze. Il Covid, mi dico, li ha rimbambiti, non vanno oltre l'ombelico delle loro basse manie, alieni all'esigenza del rischio, del grido. Nell'era dei debosciati, questi ragazzi sono più realisti del re. Obbedienti, sottomessi, esangui, perseguono il progetto di una vita ordinaria, relegando i sogni, le rivolte, in soffitta.

Ad ogni livello di studi, la pandemia, con militare esattezza, ci ha ricordato cos'è la scuola. Un ricovero. Meglio. Un centro sperimentale per il controllo di massa. Forzando la metafora. La porcilaia delle utopie infrante. A scuola non si va per imparare nozioni rese preistoriche dall'avvento di Wikipedia ; la scuola è un parcheggio tra la vita vera e la viltà degli adulti, tra la giovinezza (che non è mai spensierata) e il lavoro. La scuola non crea i cittadini del futuro didascalia dai reflui sovietici ma una falange di frustrati, perché la scuola costantemente dileggiata dai Governi, sottopagata, malmenata è sorretta da professori genericamente grigi, obbligati al regime del programma scolastico', a mantenere gli studenti nei ranghi.

A mettere qualche torcia nell'apocalisse educativa c'è un piccolo libro, l'ha scritto Roberto Carnero che, tra l'altro, si è occupato di Pier Vittorio Tondelli, di Silvio D'Arzo, di Pasolini e dei poeti scapigliati, i nostri maledetti s'intitola La campanella (Editoriale Programma, pagg. 95, euro 7,90), è un «Diario di scuola in tempo di pandemia». Il tema può malmenare la lettura: non tragga in inganno. Carnero insegna come si può fare scuola in un momento di crisi. E lo fa con l'artigiana sapienza di un insegnante che guarda in viso i suoi alunni, come uno che dal legno inerte sbozza una sedia. Non si fa spaventare dalla DAD, affronta la vita parlando della morte, inabissando i ragazzi nella letteratura: Manzoni, Machiavelli, Boccaccio, Iosif Brodskij, che «ha identificato il compito civile e politico... della trasmissione del patrimonio letterario alle nuove generazioni». Abituato a insegnare in condizioni estreme «trascorsi un anno insegnando Italiano e Latino a ragazzi ricoverati per patologie oncologiche e psichiatriche» , Carnero sa l'estrema dignità della scuola, «l'imperativo morale di non lasciare indietro nessuno». Per paradosso, la scuola si fa proprio quando non c'è scuola, e un maestro è tale sempre, al di là del gioco dei ruoli istituiti dal Ministero.

In alcune folgorazioni, Carnero ricorda Pasolini quando diceva al giovane Gennariello, «Non lasciarti tentare dai campioni dell'infelicità della mutria cretina, della serietà ignorante. Sii allegro». «Non rinunciare a niente», insegnava Pasolini, il cattivo maestro, certo che «il mondo è dei bravi». Che bella scuola, questa: la barbarie della gioia.

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