Questo è il libro cruciale, che sega la lingua e ti porta, a dorso di ghepardo, nei mondi al di là. Esaurisce perfino la morte. «La disperazione della mia situazione mi si chiarisce lentamente: come dopo quel libro non possa più venir nulla, neppure addentrandomi nella morte. Con lui ero arrivato, in qualche modo, oltre la morte, là dove è il nulla».
Questa è una lettera del 18 agosto 1910. Rilke pubblica I quaderni di Malte Laurids Brigge (riproposti da Adelphi nella cura di Giorgio Zampa, pagg. 214, euro 11) tre mesi prima, a Parigi. Il romanzo o meglio, la pagoda di ipotesi, aforismi, immagini deformate dall'ossessione , è un lungo, fiammante requiem; l'artista, Malte maschera di Rilke guarda ciò che nessuno vuol vedere, guada il male («Bene, è dunque qui che la gente viene per vivere, ma io penso che si muoia, qui, invece. Sono uscito. Ho veduto: ospedali. Ho veduto un uomo vacillare e cadere»). Formalmente rivoluzionario, Malte è scritto imitando Cézanne, il cui prodigio è chiaro a Rilke nel 1907, e Rodin di cui Rilke è aiutante, dal 1905 , cioè elaborando una prosa che non rappresenti le cose o i sentimenti, ma sappia sfondare l'apparente per radicarsi nell'invisibile. Nei Quaderni di Malte, il poeta sonda la solitudine dell'artista, la menzogna del vivere, l'inefficacia del linguaggio dopo di lui avvengono figure come lo Stephen Dedalus di Joyce o libri inesauribilmente lirici come Le onde di Virginia Woolf. Rilke, cioè, si pone nell'estasi di raccontare «L'esistenza dell'orribile in ogni particella dell'aria tutti i tormenti e gli orrori sofferti nei luoghi delle esecuzioni capitali, nelle camere di tortura, negli ospizi dei pazzi, nelle sale d'operazione gli uomini vorrebbero poter dimenticare molto di questo, il loro sonno livella con dolcezza tali solchi nel cervello, ma i sogni lo scacciano, e rintracciano i segni».
Il compito del poeta è dare gloria al sottosuolo, «sdraiarsi vicino al lebbroso e riscaldarlo con il calore del cuore nelle notti d'amore». In una lettera Rilke segna la postura in cui ha scritto Malte: «Occorre essere poveri fino alla settima generazione Occorre poter mettere, ogni istante, la mano per terra, come il primo uomo». Malte la cui audacia narrativa ci arriva addosso, oggi, come se consegnassero una tigre alla nostra clausura spossessa Rilke. Poco dopo la pubblicazione, il poeta viaggia in Africa, ad Algeri, in Egitto. Poi è in Sicilia; passa l'ultimo dell'anno a Napoli. Il romanzo ha ucciso il poeta, che si reclude in un silenzio decennale. «Il Malte è stato una grande, grande cesura», continua a scrivere Rilke. «Mi sento un po' come Raskol'nikov dopo il delitto, non so cosa accadrà; provo perfino un poco di orrore». Il delitto compiuto da Rilke è sacrilegio: nel Malte il poeta ha mostrato la vergogna di dio, ha svelato il segreto dell'arte. «L'arte va contro natura; l'arte è la più appassionata inversione del mondo, la via di ritorno all'infinito, sulla quale ti vengono incontro tutte le cose sincere sì, ma chi sei tu perché ti sia lecito?».
Rilke comincia a scrivere Malte nel 1904, qualche giorno dopo la stesura di uno dei grandi poemi, Orfeo. Euridice. Hermes (con quei versi, inesorabili: «Ormai era radice./ E quando il dio bruscamente/ fermatala, con voce di dolore/ esclamò: Si è voltato / lei non capì e in un soffio chiese: Chi?»). Nell'aprile del 1910, il poeta visita per la prima volta Duino, ospite al castello della principessa Taxis.
Ci vorranno anni perché l'arte è così, agisce per rivelazione e rapina ma quel luogo, che ora raccoglie soltanto un poeta esausto, sarà lo sfondo, il covo, il preludio delle Elegie duinesi, l'opera più vertiginosa del secolo.
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