Come una cucina diventa un capolavoro. Firmata Gio Ponti

​Tazze e piattini, vassoi e teiere, caraffe e lattiere... Alzate, centri tavola, coppe e fruttiere, e la prima macchina da caffè espresso a caldaia orizzontale

Come una cucina diventa un capolavoro. Firmata Gio Ponti

Tazze e piattini, vassoi e teiere, caraffe e lattiere... Alzate, centri tavola, coppe e fruttiere, e la prima macchina da caffè espresso a caldaia orizzontale, «La Cornuta», prodotta da La Pavoni S.p.A., 1948.

E poi. Le porcellane per Richard-Ginori degli anni Venti, gli oggetti in peltro e argento per Christofle, i cristalli per Fontana, sedie e tavoli già nella storia del design, le posate (da museo) prodotte da Arthur Krupp nel '55...

Non si può dire che Gio Ponti - nome illustre, rigorosamente senza accento, dell'architettura e del design del Novecento - abbia fatto poco per la cucina, e le cucine. Fu un genio assoluto che, come si usa dire, disegnò di tutto, dal cucchiaino (infatti) al grattacielo, Pirelli. Fu co-fondatore, insieme con Orio Vergani, nel 1953, dell'Accademia Italiana della Cucina. Ideò persino i disegni e i «finalini» di un classico della gastro-grafica, La cucina elegante ovvero Il Quattrova illustrato, un volume, oggi introvabile, pubblicato a Milano dall'Editoriale Domus nel 1931: libro di culto non solo per appassionati di buona cucina, ma per chi si interessa di stile. E non diciamo dell'Hotel Parco dei Principi di Sorrento, capolavoro dell'arte italiana, con le cento camere, la hall, la reception, il bar e, appunto, il ristorante, con i mille decori bianchi e blu in ceramica. Masterchef e master architects.

Quello che Gio Ponti fece per la cucina e che chi vi lavora, è noto. Ma è importante anche sapere ciò che pensava della cucina. Ce lo ricorda, oggi, un suo breve testo, Cuoche e cucine (Henry Beyle, pagg. 36, euro 24), che uscì sull'Almanacco cucinario della Scena illustrata nel 1939. Poche pagine, lo schizzo di una cucina «evocativa», e un dialogo neppure troppo immaginario fra Gio Ponti e l'amico commediografo Alberto Casella (1891-1957), che abitava al pianterreno di quella Villa Laporte, in via Brin, a Milano, che Gio Ponti realizzò tra il '35 e il '36 e in cui visse con la famiglia fino al '42. Ah, già. La sua visione di cucina.

Eccola: «Un buon piatto è appetitoso, fragrante, sapido, pieno di richiami sensuali, di trombe che chiamano a rapporto le nostre papille. Una adunata di appetiti. La visione di una cucina evocativa, è questa». Poi, lui, ci metteva anche la forma.

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