Le ferite del passato si rimarginano davvero? E se sì, quanto tempo serve? Tantissimo, o almeno pare essere questa la risposta leggendo la nuova fatica di Paolo Mieli: Ferite ancora aperte. Guerre, aggressioni e congiure (Rizzoli, pagg. 300, euro 18,50). Un saggio, quello del giornalista e storico, che smatassa moltissimi fili della Storia: per arrivare a mettere in luce i rattoppi e gli strappi che continuano a influenzare, da sotto l'ordito, il tessuto del presente.
Esistono per Mieli tre tipi di iati. «Lacerazioni di cui si vede immediatamente che non sono mai rimarginate; traumi a tal punto profondi da risultare quasi invisibili; squarci lontani nel tempo e che perciò stesso, generalmente, si ritiene siano superati». A guardare con accuratezza, però, anche questi ultimi superati non sono. Battaglie vecchie di secoli, come le Crociate, o persino lo scontro tra Cesare e Pompeo, lasciano segni, increspature che cambiano lo scorrere del tempo e delle idee, e tornano.
Ben strutturato in sezioni (tre, come i tipi di squarci di cui leggevate sopra) il libro è ricchissimo di esempi per ogni tipologia di frattura citata. Rilevanza assoluta è data, come è ovvio, alla questione ucraina, sin dalle prime pagine del volume. Aperta, anzi apertissima, questa ferita è stata creata all'origine dell'Urss, rinnovata da Stalin con la grande fame (l'Holodomor), e ora fatta nuovamente sanguinare.
La grande sciarada di eventi che Mieli mette difronte al lettore come exempla - dalla peste nera ai moti risorgimentali - è però solo «strumentale» a una tesi forte. Emerge da Ferite ancora aperte una chiara volontà di mostrare come il passato vada capito nel tentativo di non esserne di nuovo «vittime». Affrontare il presente altrimenti risulta impossibile. Mirabili in questo senso le pagine sugli strascichi del colonialismo francese. Mieli, pur essendo lontano da un anacronistico historia magistrae vitae di ciceroniana memoria, non rinuncia ad un uso del passato a vantaggio della comprensione dell'oggi, ed è difficile dargli torto.
Osserva nelle conclusioni: «Probabilmente è questo il senso profondo di un lungo viaggio alla ricerca delle ferite
della Storia. Ci riguardano. Sono ferite inferte a noi stessi. Anche se, in gran parte dei casi, secoli e secoli prima del momento in cui siamo venuti al mondo. Ferite di cui è utile che ogni generazione si prenda cura».
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