Dostoevskij, "ponte" fra Europa e Russia. Censurarlo è odiarci

Il filosofo Vladimir Kantor spiega i debiti reciproci fra il romanziere e l'Occidente

Dostoevskij, "ponte" fra Europa e Russia. Censurarlo è odiarci

L'evoluzione della cultura russa negli ultimi secoli va di pari passo con il dibattito mai terminato e caratterizzato da una poliedricità di posizioni sul suo fondamento identitario, in particolare in merito al rapporto con l'Europa e l'Occidente. Fu all'inizio dell'Ottocento che, sulla scia del processo di occidentalizzazione avviato da Pietro il Grande, nacque la principale dicotomia alla base del pensiero russo tra slavofili e occidentalisti.

Gli occidentalisti, i cui principali esponenti erano Petr Caadaev e Michail Bakunin, sostenevano la necessità per la Russia di appropriarsi delle conquiste della civiltà occidentale e vedevano nell'operato di Pietro il Grande un esempio da seguire per aprire «una finestra sull'Europa».

Gli slavofili si rifacevano invece a una Russia pre-pretina esaltandone il patrimonio culturale e spirituale e opponendosi a influenze esterne come testimonia il pensiero di Aleksej Chomjakov e Ivan Kireevskij.

Da quel momento, trovare una sintesi tra queste due correnti di pensiero è diventata una necessità per la cultura russa e il poeta e critico Apollon Aleksandrovic Grigor'ev rappresenta una figura a metà strada che, nonostante i rapporti con gli slavisti, fece parte dei cosiddetti pocenniki, un movimento nato per rivendicare l'importanza della terra e dell'esperienza contadina. Nella sua opera principale, Paradossi di una critica organica, unisce allo slavofilismo l'influenza degli autori occidentali, in particolare romantici come Carlyle, Emerson, Schiller, Byron.

Non a caso collaborò alle riviste Vremja e Epocha, animate da Fëdor Dostoevskij che decise di approfondire la teoria del «ritorno al suolo» basata sulla volontà di riappropriarsi delle tradizioni nazionali russe unita all'arricchimento portato dalla cultura europea, facendo così delle sue opere un ponte ideale tra la Russia e l'Occidente.

Partendo da questa visione, Vladimir Kantor, scrittore e filosofo russo, considerato da Le Nouvel Observateur tra i primi venticinque filosofi d'importanza mondiale, ha scritto un libro di recente pubblicato da Amos Edizioni intitolato Dostoevskij in dialogo con l'Occidente (pagg. 160, euro 15).

Sempre per Amos casa editrice veneziana animata da Michele Toniolo che annovera nel proprio catalogo vere e proprie chicche nel 2014 era uscito un altro testo di Kantor intitolato Dostoevskij, Nietzsche e la crisi del cristianesimo in Europa in cui il filosofo russo analizza la «morte di Dio» attraverso un parallelismo tra il pensiero di Dostoevskij e quello di Nietzsche.

Il suo ultimo lavoro indaga l'influenza reciproca tra Dostoevskij e la cultura occidentale ma, allargando il piano di lettura, può essere letto come il rapporto tra il pensiero russo e quello europeo aprendosi con l'Inferno dantesco e il legame con I Demoni sul tema del peccato e del pentimento fino ad arrivare al Papà Goriot di Balzac in cui si riscontrano elementi similari a Delitto e castigo. D'altro canto, l'influenza della cultura francese in Dostoevskij è profonda e «quando Delitto e castigo venne paragonato ai Miserabili di Hugo, per Dostoevskij fu la massima lode ricevuta in vita». Non a caso il suo percorso biografico è legato a Pietroburgo, la città più occidentale della Russia che si contrappone alla Rus' di Mosca e che i suoi nemici vorrebbero vedere inghiottita dal mare come nel mito di Atlantide citato da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia. Dostoevskij non solo aveva letto La Repubblica di Platone ma i suoi personaggi ne discutono, testimoniando il rapporto con la classicità greca.

Eppure non è solo Dostoevskij ad essere debitore verso l'Occidente ma anche il contrario, i suoi libri furono letti da Friedrich Nietzsche, Sigmund Freud, Thomas Mann, Albert Camus, William Faulkner e Hugo von Hofmannsthal che nel suo articolo La situazione spirituale dell'Europa moderna scrisse: «se nella nostra epoca c'è un signore dello spirito, questi è Dostoevskij».

Per questo censurare

Dostoevskij è non solo una forma di cancel culture ma anche di oikophobia, ovvero di odio verso noi stessi, poiché la cultura occidentale è tanto debitrice al grande romanziere russo quanto lo è stato lui nei nostri confronti.

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