«Un uomo che pensa più di cinque minuti a una donna non è un uomo, è una checca». Glielo diceva suo nonno. E Jorge Luis Borges sciorinò quella battuta da macho, molto ad effetto, durante una conferenza sul tango. Una delle quattro conferenze da lui dedicate, nell'autunno del 1965, al ballo che esprime l'anima argentina.
Il nonno dello scrittore, e lo scrittore con lui, voleva dire che il vero uomo la donna se la prende, senza tanti discorsi e giri... di valzer. Questo era, alle origini, intorno al 1880, il tango, nelle casas malas del mondo arrabalero, cioè suburbano eppure centrale in Buenos Aires, come fu la Suburra a Roma. Lo stesso tipo di posti, spiega Borges, in cui negli Stati Uniti pochi anni dopo sarebbe nato il jazz. Ma in breve, dice lo scrittore, anche il tango cambiò i propri connotati. Con Carlos Gardel, il quale «prese la lettera del tango e la convertì in una breve scena drammatica», diventa meno criollo e più teatrale: nel tango cantato l'uomo finge di essere contento del fatto che la donna l'ha lasciato, salvo poi alla fine sciogliersi in singhiozzi per la perdita dell'amata. Quasi da manfloro, da checca, avrebbe detto il nonno di Borges.
Tutto questo, e molto altro, apprendiamo dal testo delle conferenze borgesiane, disperse a lungo, ritrovate nel 2002 quando lo scrittore spagnolo Bernardo Atxaga ricevette da un amico le cassette audio con la voce di Borges (cassette poi autenticate dal biografo dell'autore dell'Aleph, Edwin Williamson, e dalla vedova María Kodama), donate alla «Casa del Lector» di Madrid. E ora diventate un volume pubblicato dalla spagnola Lumen: El tango. Cuatro conferencias.
«In quegli accordi sono
antiche cose:/ L'altro cortile e l'intravista pergola/ (Dietro le sue pareti sospettose/ Il Sud serba un pugnale e una chitarra)». Sono versi di Borges, in una poesia intitolata Il tango. Il cieco Borges ballava benissimo.
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