«Quasi cinque anni fa, sono stato investito da un'auto. Ho perso una gamba dal ginocchio in giù e l'uso dell'altra, e da allora sono costretto a stare su una sedia a rotelle. Ogni giorno mi manca non poter fare quel che ero abituato a fare: stare in piedi, camminare, fare lunghe passeggiate per tenermi in forma. A poco più di un anno dall'incidente, il mio matrimonio è finito; le mie due figlie, ora di otto e quattro anni, vivono con la madre. Sto spesso con loro, ma raramente passano la notte da me. Perciò, quasi tutte le mattine mi sveglio da solo. Ogni giorno è una lotta contro il dolore, dove ogni azione fisica nella casa vuota mi ricorda ripetutamente ciò che ho perso. Non riesco a vincere questa lotta da solo».
È uno dei tanti commoventi passaggi di Riflessioni da una sedia a rotelle, antologia di 25 saggi intimi e privati di Andre Dubus, in libreria nei prossimi giorni per Mattioli 1885 (pagg. 176, euro 16, traduzione di Nicola Manuppelli). Dubus (1936 - 1999) è un maestro del racconto breve, grazie al suo caratteristico stile diretto ed elegante. L'incidente automobilistico del luglio '86 che gli costò la sedia a rotelle incise tragicamente nella sua esistenza. Quell'esperienza, la sua conseguente lotta fisica e la fine del suo matrimonio li ha descritti nel primo volume di saggi Vasi rotti. Queste venticinque «riflessioni» sono decisamente migliori e raggiungono vette narrative degne dei celebri racconti: una testimonianza della vulnerabilità, della visione e della fede indistruttibile dell'autore. Che stia scrivendo dello stupro di sua sorella e del suo tentativo di perdonare l'uomo che l'ha violentata, della sua fede cattolica, del suicidio di un ufficiale della Marina omosessuale, della sua ammirazione per scrittori come Hemingway e Norman Mailer, o del semplice atto di preparare i panini per il pranzo delle figlie, Dubus va dritto al cuore delle cose. Leggendolo troviamo un artista il cui lavoro «è soffuso di grazia e di quieta disperazione». Meditando su eventi e persone nella sua vita prima e dopo l'incidente, Dubus ci conduce nello spazio interiore di sofferenza, paura, malumore, stoicismo e fede religiosa. Come il personaggio di Hemingway che descrive in Un racconto di Hemingway ha superato e non ha superato le conseguenze del suo incidente, mentre tra le pagine del saggio Sacramenti racconta li dolore emotivo di portare avanti una relazione amorosa per telefono a causa della mobilità limitata e i «sacramenti» ricevuti per imparare a guidare l'auto appositamente attrezzata e per fare un affare con un appaltatore di piscine.
Concludendo con il ricordo della morte del padre, Dubus nota che «non avevo vissuto abbastanza e perso abbastanza» per riconoscere la grazia che accompagnava il dolore passato. Allo stesso modo, il lutto - per ciò che non può più fare - e la gratitudine - per ciò che una volta era in grado di fare - vanno di pari passo quando ricorda la gioia di correre per chilometri in Una canzone su una strada di campagna.
La memoria del corpo e le perdite subite sono importanti anche nel racconto dell'incontro con l'attrice Liv Ullmann.In queste «riflessioni» c'è una «quieta disperazione» che ha passaggi magistrali, pieni di speranza e di ricchezza per chi legge e per chi scopre per la prima volta la grandezza di questo scrittore.
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