Giorello e Sgarbi a confronto (divino) su Arte e Scienza

In "Il bene e il male" il critico e il filosofo, da poco scomparso, coniugano Ragione e Bellezza

Giorello e Sgarbi a confronto (divino) su Arte e Scienza

Il titolo è ambizioso, Il bene e il male (La nave di Teseo, pagg. 154, euro 17), il sottotitolo estende ancora di più il campo («Dio, Arte, Scienza»), il contenuto è un dialogo che «mette a confronto due posizioni: quella di uno scienziato e quella di uno storico». Lo scienziato è Giulio Giorello, epistemologo, filosofo della scienza, grande appassionato di Spinoza, Irlanda e Topolino, morto il 15 giugno scorso nella sua Milano. Lo storico è Vittorio Sgarbi, che comincia il «confronto» sul suo terreno, l'arte, sostenendo che essa è «la prova dell'esistenza di Dio». E non il Dio dei filosofi, bensì, recuperando la distinzione di Pascal, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è corpo, come corpo sono la Madonna e Cristo, corpi rappresentati ed esaltati dalla pittura e dalla scultura, di più: corpi che sono diventati la ragion d'essere dell'arte occidentale e ne sono stati perfino la salvezza, per secoli. Corpi che, non necessariamente, nella loro concretezza, corrispondono perfettamente alla rappresentazione del divino, come nel caso della Madonna dei pellegrini di Caravaggio, dove la modella è... una bellissima prostituta, amante del pittore, mentre il bambino, più che un neonato è un ragazzino di otto anni, e così la Vergine si deve sforzare per tenerlo in braccio, poiché «è il Bambino più grande della storia dell'arte».

Ma la forza dell'arte è appunto tale, che non conta il «materiale di partenza» bensì come viene plasmato, e perciò essa è la prova dell'esistenza di Dio: «L'artista è l'unico che usa uno strumento che, sul piano del metodo, riproduce quello di Dio». Come fa? «Qual è il metodo di Dio? La creazione dell'anima immortale. Che cosa fa l'artista? Crea con l'anima immortale. L'ateo Leopardi non è morto: la sua anima è dentro L'infinito, l'ha traslata dal corpo a quelle parole. Giorgione non è morto: ha traslato la sua anima dentro la Tempesta. Leonardo ha rappresentato tutta la sua anima non nel corpo idealizzato della Gioconda, ma nello spirito della Gioconda, che ci parla e vive».

Che cosa può rispondere un uomo di scienza, e un filosofo, come Giulio Giorello, a queste incursioni tra arte, fede e scienza (bellissime le immagini che corredano il percorso, dal Crocifisso di Cimabue alla Trinità di Masaccio, dalla Resurrezione di Piero della Francesca al Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell'Arca...)? Innanzitutto ricordando che il corpo di Dio non è estraneo alla scienza e alla filosofia, anzi, basta guardare il Dio Padre benedicente di Biagio d'Antonio (1446-1516), un dipinto che «mostra come per manifestarsi e venir riconosciuto Dio abbia bisogno di un corpo, se non addirittura di fattezze umane». Nonostante gli influssi platonici, il Cristianesimo non è una religione mentale, è una religione corporea e la tensione fra spirito e corpo trova la sua espressione massima nella trinità, un mistero tale che bisogna citare Dante, stupito dalla mancanza di ombra di Virgilio lungo il loro viaggio nell'Aldilà: «Matto è chi spera che nostra ragione/ possa trascorrer la infinita via/ che tiene una sustanza in tre persone». La nostra ragione non può addentrarsi lungo l'«infinita via», ma questa, nota Giorello, «può comunque essere rappresentata dalla potenza delle immagini, entro il magistero dell'arte».

Il culmine però, dal punto di vista filosofico e scientifico, deve ancora arrivare, passando prima per Newton, dove il corpo di Dio, lungi dallo scomparire dalla «scena» della scienza moderna, gioca addirittura un ruolo cruciale, poiché «esso viene a costituire il supporto della gravitazione universale»; per arrivare poi a Spinoza e al suo Deus sive natura, che implica «l'essenza del corpo sotto specie di eternità», poiché, scrive il filosofo «maledetto» (dalla sinagoga di Amsterdam, ma non solo) nell'Etica, «per corpo intendo un modo che esprime in maniera certa e determinata l'essenza di Dio in quanto si considera come cosa estesa».

Insomma arte e scienza sono tutt'altro che in opposizione, anzi, come i due amici e dialoganti, Giorello e Sgarbi, sono entrambe discipline creative e, in quanto tali, ci permettono di scorgere nuove relazioni le quali, a loro volta, ci consentono di leggere e guardare il mondo (e noi stessi) in modo diverso, «correggendo» la natura: «Il perfezionamento della natura è l'obiettivo della scienza e anche dell'arte. Scienza e arte non sono dunque in concorrenza: sono la testimonianza che l'uomo ha in sé una divinità in cui andrebbe cercato il senso di Dio» (parola di Sgarbi). Tutto ciò ha anche una implicazione etica (il bene e il male del titolo), come dice Giorello: «Io credo che la grande scienza e la grande arte incrinino le aspettative consuete e indichino nuovi modi di vedere il mondo, ricchi e significativi. E non solo cambiano il modo di vedere il mondo, ma cambiano anche il nostro modo di stare al mondo».

È questo che fanno, i grandi artisti e i grandi scienziati, talvolta nella loro sregolatezza: ci aprono nuove vie, senza paura, né dell'autorità né di confrontarsi con posizioni diverse, in nome di una causa difficile, ma «degna»: «unire il coraggio con la conoscenza».

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