D'altronde ormai i videogames sono l'altra faccia dell'arte. La manipolano, la rappresentano, talvolta la creano. Fabio Rovazzi, che è cresciuto a pane e videogames, stavolta non ha confezionato un tormentone estivo ma è diventarto Sergio «Morte» Sulla, un personaggio della stagione 5 Reloaded di Call of Duty Modern Warfare e di Warzone il free to play battle royale. Nel copione di questo videogame sparatutto, è un pistolero che, prima di unirsi alla Warcom (una delle due fazioni che si danno battaglia in Modern Warfare e Warzone), ha fatto parte del reggimento Col Moschin, uno dei reparti più prestigiosi del nostro esercito. Ma colpisce soprattutto il suo look: poncho, cappello da cowboy, pistola facile. Fabio Rovazzi come Clint Eastwood nella «Trilogia del dollaro» di Sergio Leone, che è uno dei reparti più vincenti del nostro cinema. «In effetti è un personaggio spaghetti western e mi è piaciuta subito l'idea di farlo». Insomma, lo youtuber Fabio Rovazzi, già campione di tormentoni estivi, adesso è un eroe da videogame, anzi «sono un operatore giocabile dentro il videogioco», come dice lui con impeccabile precisione.
Ma come mai, caro Rovazzi, ha scelto proprio di diventare un pistolero?
«Perché il cinema di Sergio Leone rappresenta una fase nella quale l'Italia era veramente grande e invidiata nel mondo, non soltanto in quello cinematografico».
Però non c'è soltanto lo spaghetti western. C'è anche un omaggio alla tradizione militare italiana.
«Sì il mio personaggio era un militare del reggimento Col Moschin che credeva molto nella giustizia ma ha capito che, seguendo le regole, non avrebbe raggiunto i propri obiettivi».
E quindi?
«E quindi è diventato un mercenario. Un mercenario buono, sia chiaro».
Sembra che si stia parlando di un film oppure di un romanzo e invece è un videogioco.
«Sono rimasto colpito anche io. Nell'universo Call of Duty c'è una continua ricerca di profondità dei personaggi. Non sono icone buttate lì per caso, ma sono figure intorno e dietro alle quali c'è uno studio davvero minuzioso».
I fan del Rovazzi di «Andiamo a comandare» come hanno reagito?
«Da paura. Hanno tutti dato segnali di consenso, e questo per me è assai importante visto che questo è un gioco che esce in tutto il mondo e quindi mi porta a ogni latitudine. È una bella cosa, ma è anche rischiosa».
Specialmente per chi, come lei, attraverso i social ha un rapporto continuo con i fan ovunque.
«Uso molto Twitch, che è la principale piattaforma social per chi usa videogames e ama tutto quel mondo».
Durante la quarantena ha fatto dirette con tanti ospiti, da Matteo Renzi a Jovanotti fino addirittura a Jack Black.
«Sì Twitch è nata per il gioco ma si è trasformata lentamente in altro: è una piattaforma molto vivace per dibattiti e podcast, ad esempio. A me piace molto perché è diversa dalle altre, selettiva ed è in diretta. Io ci passo ore e ore a confrontarmi con chi mi segue. È un nuovo modo di comunicare. Bellissimo».
Questa estate al suo pubblico non ha regalato il solito pezzo estivo.
«Durante il periodo del lockdown ho avuto un lutto molto importante per me proprio a causa del Covid (è morto il nonno - ndr) e non mi andava di tornare sul mercato con un pezzo felice e spensierato».
Lo ha fatto a modo suo, partecipando al brano Liberi di Danti con Raf.
«È stato il mio modo di esserci».
Quindi ha detto addio alla musica?
«Ma no, anzi ci sto tornando. E voglio farlo in modo più organico e completo. Non solo un pezzo, ma più brani che possano mettere in musica le mie esperienze».
Un disco intero?
«Non so ancora, sta nascendo tutto adesso».
Rovazzi, lo sa di essere un caso a parte nella scena italiana: è difficile da inquadrare.
«Dopo anni sono contento di essere rimasto il classico pesce fuor d'acqua».
È nata la categoria «canzone alla Rovazzi». È diventato un genere a parte.
«Questo mi impone di fare ogni volta una sorta di upgrade e non è sempre facile. Sopratutto perché non ho riferimenti, visto che faccio una corsa a parte».
Come ci è riuscito?
«Ora una regola fondamentale è dire più no che sì. Spesso l'approccio economico può essere condizionante. Nel mio caso no, lo garantisco».
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