Quando tra il 1907 e il 1909 gli viene data la possibilità di raccogliere in più volumi il meglio di tutta la sua opera in quella che viene definita la New York Edition, Henry James ha ormai scritto già tutti i suo romanzi più importanti. Ma da Ritratto di Signora (1880) - forse il suo libro più celebre e uno dei pochi che avesse ottenuto un certo successo di pubblico - a Il giro di vite (1898), Le ali della colomba (1902) e La coppa d'oro (1904) molto è cambiato nel suo modo di scrivere. Il romanzo era sempre più diventato il teatro per un ragionamento critico; un romanzo che, a conti fatti, teorizzava se stesso, diventava metaromanzo, e avrebbe offerto nuove possibilità espressive alle avanguardie del Novecento. James era sempre stato uno sperimentatore, ma, a partire dalla fine dell'Ottocento, inspessisce il suo fraseggio, complica la sintassi anche dei discorsi diretti, fa diventare metodo l'elusione, l'omissione e l'iperbole, evita di continuo proposizioni rivelatrici. Il romanzo diviene la messa in ordine di un enigma, di un mistero. Allora, dovendo ristampare anche opere più vecchie, capitava che le revisionasse completamente, prima di introdurle con dei saggi critici che costituiranno, messi insieme, un vero e proprio discorso sul metodo (in Italia Le prefazioni sono state raccolte da Agostino Lombardo, e ora si possono leggere in un volume pubblicato dall'editore Cooper nel 2004).
Accade questo anche con Il riflettore, che James pubblicò per la prima volta nel 1888 e che revisionò vent'anni dopo, e che ora torna in libreria anche da noi, dopo lunga assenza, nella traduzione di Massimo Ferraris (Elliot, pag 204, euro 17). Nella prefazione alla ristampa, James aveva parlato di questo libro come un «jeu d'esprit» (giochi mentali), e aggiungeva, «mi scopro a pensare ad esso in altre, ricche luci: nella luce dell'aneddoto esemplare e, nello stesso tempo, in quella di un piccolo, compiuto dramma».
La vicenda è quella di una famiglia statunitense, i Dosson, che si trasferisce in Francia, a Parigi. Il padre e le due figlie, Delia e Fracie, sono introdotte nel vecchio mondo da un giornalista di gossip (diremmo oggi) che scrive per Il Riflettore, Mr Flack, il quale fa loro conoscere un pittore impressionista che realizzerà un ritratto di Francie. Nello studio del pittore Francie conosce Gaston Probert, del quale si innamora. Quando le famiglie Probert e Dosson entrano in contatto, vengono messe in risalto le differenze delle culture da cui provengono. Infatti, in questo romanzo sono racchiusi molti temi cari a James. Uno di questi è proprio il confronto tra America e Europa - il provincialismo ingenuo e volgare da una parte e la posa conformista e ipocrita dall'altra. Quando il giornalista pubblicherà un articolo che smaschererà i segreti della famiglia Probert rivelati a Flack da Francie, ma senza malizia alcuna, lo scandalo è inevitabile.
Su questa vicenda, su questo «aneddoto esemplare» e «compiuto dramma», si innerva la maestria romanzesca di Henry James, il suo gioco mentale. Ma in cosa consiste esattamente questo gioco, questo enigma? Qui si rivela un altro tema caro a James, ovvero quello di creare un alone di mistero intorno a una situazione o a un personaggio. Francie non è dissimile da altre protagoniste dei suoi romanzi, e penso a Isabel Archer del Ritratto di signora e a Milly Theale di Le ali della colomba. Non solo perché come Francie sono sbarcate in Europa dagli Stati Uniti, ma perché rappresentano un groviglio nel quale tutti gli altri personaggi vengono a loro modo intrappolati, con il quale sono costretti a fare i conti. Francie, nel Riflettore, è la ragazza che tutti desiderano per i loro scopi: Gaston per trovare la sua autonomia e liberarsi finalmente dalla dipendenza oppressiva della propria famiglia; Mr Flack per estorcerle notizie e pettegolezzi; Waterlow, il pittore, per realizzare il suo capolavoro (si dice infatti che nonostante abbia finito il suo dipinto da tempo, non riesca a liberarsene, a consegnarlo); Delia, che ha meno qualità di sua sorella, per avere una porta d'ingresso nella buona società. Nessuno però riesce ad afferrarla mai. È Waterlow in una certa misura a chiarirlo mentre parla con Gaston, ancora indeciso se sposarla o obbedire alla sua famiglia: «Mio Dio, amico, come puoi essere così impenetrabilmente ottuso? Non capisci che lei è davvero della materia più tenera e più fine nella quale aliti la vita, che è un fiore dalle forme perfette, che tutte le apprensioni che puoi avere cadranno come petali morti da una rosa e che tu potrai fare di lei qualunque cosa perfetta e incantevole che avrai l'ingegno di concepire?».
Francie è sfuggente, ingenua, testarda, ma è anche una tela bianca, e quindi il vero riflettore che dà il titolo al libro. È infatti attraverso di lei che si riflettono ed emergono le reali personalità degli altri, e che pure accende in loro l'alito della vita. Francie è l'enigma che muove l'ingranaggio del dramma, di tutta la macchina narrativa.
Attraverso di lei Henry James perpetua il suo ricorrente metodo narrativo - o quella particolare ambiguità in cui ci ha abituati a perderci, sprofondando nei vuoti in mezzo alle maglie di uno stato mentale. E quella di James è davvero la mente più misteriosa e affascinante del romanzo a cavallo tra due secoli.
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