L'altra regina inglese che aveva lo scettro del romanzo storico

Morta la scrittrice dei bestseller sui Tudor: vinse il Booker due volte (unica donna)

L'altra regina inglese che aveva lo scettro del romanzo storico

È morta a 70 anni l'altro ieri per un ictus la scrittrice inglese Hilary Mantel. Era nata a Glossop, nel Derbyshire, nel 1952. Da molti anni era affetta da malattia cronica. In seguito a una grave forma di endometriosi non aveva potuto avere figli. HarperCollins, suo editore inglese, ha detto che è morta «improvvisamente ma serenamente». Cordoglio dal mondo letterario internazionale e dal suo editore italiano, Fazi.

Nelle ore che passava alla scrivania, nella sua casa in Cornovaglia, nella testa di Hilary Mantel - osiamo immaginare, come del resto faceva lei, dei suoi celeberrimi personaggi, tutti protagonisti della Grande Storia - si affollavano cortigiani, sovrani, amanti, duchi, prelati, ribelli, militari, stallieri, cuochi, cameriere. Libri, documenti, cronache, romanzi: era una lettrice «feroce», per sua stessa ammissione, fin da bambina. E così entrava nella testa imprevedibile di Camille Desmoulins, nel corpo immenso dell'avvocato Danton, nell'animo incorruttibile di Robespierre; o, ancora, nella mente machiavellica di Thomas Cromwell, nelle passioni turbolente di Enrico VIII, nel cuore di Anna Bolena, nella fede di Tommaso Moro, nello spirito poetico di Thomas Wyatt, negli intrighi dei Pole, o dell'ambasciatore di Carlo V...

Due settimane dopo Elisabetta II, se ne va un'altra regina inglese: quella del romanzo storico. Hilary Mantel è morta a 70 anni l'altro ieri, per un ictus. Famosa e amata in tutto il mondo grazie alla trilogia sui Tudor, nominata Dama da Sua Maestà, la scrittrice non era però una grande estimatrice della monarchia britannica: aveva ipotizzato che il figlio del principe William non sarebbe mai diventato re, perché i Windsor sarebbero stati detronizzati prima. Chissà. Faceva parte di un suo animo politicamente «contro» (la Brexit, la Thatcher), un contrappeso, forse, di una vita spesa nel passato grandioso della Nazione. È nei tre romanzi, di circa mille pagine ciascuno, dedicati a Thomas Cromwell, mente e braccio esecutivo dei desideri politico/nuziali di Enrico VIII, che questo passato viene portato a realtà viva, per il piacere dei suoi lettori (cinque milioni di copie e una serie della Bbc che ha vinto il Golden Globe nel 2016) che, stranamente, nel suo caso coincideva anche con quello della critica: Wolf Hall, il primo volume (pubblicato come tutti gli altri da Fazi, il suo editore italiano), uscito nel 2009, vinse il Man Booker Prize, seguito da Anna Bolena, una questione di famiglia nel 2012, un altro Booker, e un caso, poiché Hilary Mantel è stata l'unica donna a conquistare il premio due volte. Il terzo romanzo, Lo specchio e la luce, è arrivato dopo dieci anni di lavoro e la sua pubblicazione, nel 2020, è stata l'evento editoriale dell'anno in Gran Bretagna; la fine ingloriosa di Cromwell (anche se poi Enrico VIII si pentì di avergli fatto tagliare la testa) si è guadagnata però «solo» la finale del Booker. A rendere unica la sua narrazione storica era l'uso eccezionale del dialogo, oltre al fatto che il Cinquecento inglese sembrava non avere segreti per lei: vita quotidiana, strade, abiti, paramenti, titoli, case, palazzi, incarichi, diplomazia, tribunali, leggi... In effetti, quando era ancora una ragazza del Derbyshire (era nata a Glossop nel 1952) Hilary Mantel aveva proprio studiato Legge, alla London School of Economics e a Sheffield; poi era stata assistente sociale in geriatria, e si era sposata, nel 1972, con Gerald McEwan. Lui era geologo e, a parte essersi separati nell'81 e poi risposati l'anno successivo, i due hanno viaggiato molto, trascorrendo anni in Botswana (di cui vi è eco in A Change of Climate) e in Arabia Saudita (che riaffiorano in Otto mesi a Ghazzah Street), per poi tornare in Gran Bretagna a metà degli anni Ottanta.

Nel frattempo, la scrittrice Mantel è già nata: è il 1974 quando inizia La storia segreta della rivoluzione, prima parte di una trilogia sulla Rivoluzione francese che viene poi pubblicata interamente nel '92 (con Un posto più sicuro e I giorni del terrore). Vale la pena chiarire: a 22 anni, quando molti sono ancora indecisi se abbiano scelto il giusto corso di laurea, Hilary Mantel si mette ad affrontare il colosso della Storia europea, il 1789, e lo fa con un capolavoro. In seguito ha sempre raccontato di essere «ancora affascinata» dalla Rivoluzione; del resto, già nella «Nota» al primo volume diceva di aver tralasciato volutamente Marat, e che sperava di scrivere di lui «in futuro». E questo perché un Marat protagonista avrebbe rovesciato «la visione della storia» proposta nella trilogia; perché, confessava Hilary Mantel: «Durante la stesura del libro ho discusso molto con me stessa su cosa sia realmente la storia».

E dire che aveva cominciato, a dodici anni, con le previsioni del tempo, come aveva raccontato qualche anno fa a chi scrive, su queste pagine: «Ogni giorno, camminando per andare a scuola, facevo una descrizione delle condizioni meteorologiche nella mia testa; la facevo e la rifacevo, fino a che mi sembrava corretta. Credo che sia stato allora che sono diventata una scrittrice, anche se non lo sapevo». Diceva, anche, che «il conflitto è ciò che guida la narrazione»: che sia una rivoluzione, una regina decapitata, una donna prigioniera a causa della sharia, una medium dalla vita terribile (come in Al di là del nero).

O che siano I fantasmi di una vita, che lei stessa ha avuto il coraggio di mettere per iscritto, dalla scomparsa del padre alla morte improvvisa del patrigno al dolore fisico e ai trattamenti subiti, che le impedirono di avere figli. J.K. Rowling ha detto: «Abbiamo perso un genio». Ed è vero.

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