Si avvicina il centenario della fondazione del Pci, il 21 gennaio 1920, escono libri e articoli sui giornali. Vorrei portare anch'io una piccola testimonianza personale a proposito della storia comunista, una testimonianza relativa a un anno fatidico, il 1956: che fu l'anno del rapporto segreto di Krusciov al XX congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica, e l'anno della rivoluzione popolare ungherese.
Stalin era morto solo tre anni prima. I partiti comunisti di tutto il mondo l'avevano osannato in modo delirante. Ma il 25 febbraio 1956 accadde una cosa stupefacente e sconvolgente. In un lungo discorso a porte chiuse (riservato cioè ai soli congressisti, senza la presenza delle delegazioni dei partiti fratelli e senza i giornalisti), Krusciov fece letteralmente a pezzi la figura di Stalin: il quale aveva governato l'Urss in maniera dispotica e terroristica, e aveva commesso innumerevoli delitti contro esponenti del partito e dell'esercito. Krusciov raccontò cose atroci e rivelò che l'uso delle bastonature e della tortura era diventato prassi corrente contro i supposti dissidenti. I dati forniti da Krusciov erano terrificanti: per esempio, dei 139 membri del Comitato centrale del partito al XVII congresso, il 70% era stato arrestato e fucilato. La stessa sorte toccò alla maggioranza dei delegati a tale congresso: su 1966 delegati, 1108 vennero arrestati e poi fucilati. Purghe altrettanto feroci furono scatenate contro l'esercito, con centinaia di vittime, sicché l'Armata Rossa si trovò in uno stato confusionale di fronte all'aggressione hitleriana.
Prima di ripartire da Mosca, Togliatti ricevette dai capi del Cremlino una copia del rapporto segreto. La situazione nella quale il leader comunista veniva a trovarsi era assai sgradevole e imbarazzante. Il Pci, infatti, aveva tributato a Stalin un culto sconfinato. I comunisti italiani lo avevano sempre considerato il capo più amato, lo avevano esaltato in forme ditirambiche e morbose: Stalin era l'uomo che aveva realizzato il socialismo nell'Unione Sovietica, che aveva costruito dighe e deviato il corso dei fiumi, che aveva abolito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che aveva battuto gli eserciti hitleriani col suo genio politico e militare. Quando Stalin morì, i comunisti italiani lo piansero come si piange un padre. Il giorno in cui fu annunziata la sua fine, l'Unità uscì listata a lutto. «L'anima è oppressa dall'angoscia dichiarò Togliatti alla Camera dei deputati per la scomparsa dell'uomo più che tutti gli altri venerato e amato, per la perdita del maestro, del compagno, dell'amico». In tutta Italia i comunisti organizzarono centinaia di manifestazioni, con enorme partecipazione di popolo, per commemorare il genio che si collocava accanto a Marx e a Lenin.
Togliatti rientrò in Italia da Mosca il 6 marzo, e non fece cenno alle denunce kruscioviane contro Stalin. Una settimana dopo, egli tenne una lunga relazione al Comitato centrale del Pci, in cui affrontò anche la questione Stalin. Dopo aver tracciato un quadro grandioso della società sovietica e dei suoi straordinari progressi economici, sociali e civili, egli parlò delle critiche che Krusciov aveva rivolto alla figura di Stalin. Togliatti disse: «Il compagno Stalin ha avuto una grande parte, una parte positiva, nella lotta che ebbe luogo subito dopo la morte di Lenin, per difendere il patrimonio leninista contro i trotzkisti, i destri, i nazionalisti borghesi, per riuscire a prendere la strada giusta di costruzione di una società socialista. Se questa lotta non fosse stata condotta e non fosse stata vinta, l'Unione Sovietica non avrebbe riportato i successi che ha riportato, e oggi forse nell'Unione Sovietica non esisterebbero una economia e una società socialiste. Nel corso di questa lotta Stalin si acquistò prestigio e autorità. Il suo errore successivo fu di mettersi, a poco a poco, al di sopra degli organi dirigenti del partito, sostituendo a una direzione collegiale una direzione personale. Si venne così creando quel culto della persona che è contrario allo spirito del partito e che non poteva non arrecare danni». Nessun accenno, da parte di Togliatti, al rapporto segreto di Krusciov, che però venne pubblicato dal New York Times il 4 giugno, e poi fu riprodotto dai grandi quotidiani italiani. Naturalmente, enorme fu il disagio che si diffuse fra i comunisti. Le rivelazioni di Krusciov erano ben più drammatiche dei toni edulcorati di Togliatti. Si imponeva subito una domanda: il testo del rapporto segreto pubblicato in occidente era vero o no, era autentico o no? L'Unità parlava del «cosiddetto rapporto segreto».
Il mistero fu presto sfatato. In un giorno di settembre del 1956, nella mia città (Ravenna) e in molte altre città italiane, fu convocata dalla Federazione del Pci una riunione (che si tenne in un'ampia sala di una sezione comunista), riservata ai dirigenti di Ravenna e provincia: il Comitato federale, il direttivo della gioventù comunista (di cui io facevo parte: avevo 17 anni), i sindaci e gli assessori comunisti, ecc. Questa riunione (alla quale parteciparono alcune decine di persone) fu presieduta da un autorevole esponente della Direzione del Pci, il senatore Arturo Colombi. Il quale fece una lunga introduzione, e a un certo punto disse: «e ora, compagni, veniamo al rapporto segreto di Krusciov pubblicato dai giornali: è vero o non è vero, è autentico o no? Certo, compagni, che è vero, certo che è autentico». Dalla sala si levò un accorato e struggente «ohhh! ohhh!», che durò per parecchi secondi.
Colombi reagì con rabbia: «compagni, non dovete dire ohhh, non dovete scandalizzarvi, perché il nostro partito ha un suo costume rigoroso: se non ha sconfessato il rapporto segreto, ciò significa che esso è autentico!».I partecipanti a quella riunione uscirono sconvolti, e molti di essi erano ormai convinti di una verità elementare ma tremenda: che il mito dell'Urss e il mito della società comunista erano morti per sempre.
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