Ai parlamentari europei andrebbe fatto obbligo, per diktat politico, d'imparare a memoria questo libello. La letteratura come spazio spirituale della nazione (Aragno, pagg. 156, euro 15) ha un titolo che confonde gli impazienti e una fama che obnubila gli intellettuali da Wikipedia. Il titolo del libro, infatti, si riferisce all'orazione che Hugo von Hofmannsthal pronunciò il 10 gennaio 1927 all'Università di Monaco morirà due anni dopo , sostanziosamente riassunta nella frase d'esordio, bellissima («Non dal nostro dimorare sul suolo patrio, o dal contatto fisico nell'industria e nel commercio, emana la nostra unità in quanto comunità, bensì dall'adesione incondizionata a un moto spirituale»), che accenna a una non bene specificata (ci penseranno molto altri, dopo) «rivoluzione conservatrice». Piuttosto, è il libro in sé che va letto, sottolineato, studiato, perché esprime, con cristallina chiarezza, «il problema dell'Europa in quanto tale», incarnato nell'energia del «poeta che tentò, inascoltato, di cooperare a una profonda riflessione storica sull'Europa» (così scrive l'anonimo curatore del testo).
In particolare, gli appunti del 1916, passati come L'idea di Europa. Note per un discorso, sono straordinari. Hofmannsthal ricostruisce geologicamente il concetto di Europa, passato dall'indicare «l'Occidente immerso nella forma di pensiero spirituale della Chiesa» alla venerazione di «tre divinità: salute, sicurezza e lunga vita, il culto della sicurezza e della soddisfazione, il comfort privo di bellezza». La scienza, che «conserva ancora il sigillo emotivo della fede», prende il posto della Croce, il denaro diventa «il fine universale» («non ha forse il potere di sostituirsi a Dio?»): così l'Europa corrompe il proprio compito, bavosa schiava della tecnica («L'ansia febbrile dello scambio, la rimozione funzionale delle distanze il frastuono su London Bridge, gli hotel dalle Alpi a Benares piroscafi transoceanici che, quale culmine di tutta la saggezza e la scienza della nostra epoca, solcano i mari colmi di pezzi di stoffa per una dama alla moda e il salotto, volumi inauditi di rigurgitanti informazioni trasmesse ogni dove, un miracolo da mille e una notte»). Il punto centrale è sempre quello: «l'unità dell'Europa non è tipicamente geografica... l'unità non può dirsi nemmeno di tipo razziale o etnico... La sua sostanza è ideologica e spirituale». Abbiamo scambiato il simbolo per il debito pubblico, screditato il sacro per una finanziaria. Al caporedattore del Berliner Tageblatt, nel 1915, il poeta scriveva contro «gli stati arroccati nel loro nazionalismo, nell'illusione di poter abbandonare per strada il concetto di Europa».
Secondo i suoi sogni, il Festival di Salisburgo, di cui fu promotore con Richard Strauss, avrebbe radicato l'Europa nel suo carisma, fondamentalmente culturale. Nel 1929, l'anno della morte di Hofmannsthal, un altro poeta, Saint-John Perse amato dall'austriaco, che ne tradusse il poema vertiginoso, Anabasi s'incaricò di difendere l'idea di Europa.
Assistente di Aristide Briand, «presenta alla Società delle Nazioni un Memorandum per l'Organizzazione di un Regime di Unione Federale Europea» (Romeo Lucchese). Non è errato dire che l'Europa è stata creata dai poeti. I pavidi sono quelli che ancora rifiutano di ascoltarli.
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