L'inebriante profumo della Storia

"Gli inganni di Cleopatra" racconta il culto degli antichi per le essenze

L'inebriante profumo della Storia

Secondo la Storia Augusta, l'imperatore Eliogabalo era un appassionato di profumi e fragranze: passeggiava su tappeti di gigli, viole, giacinti e narcisi; nuotava solo in piscine in cui erano stati versati profumi pregiati e croco e aveva l'abitudine di riempire vasche da bagno con vino melato e rosato. E il profumo, che è «il più vano tra tutti i lussi, perché le perle e le gemme passano agli eredi, le vesti durano nel tempo, mentre i profumi si dissolvono istantaneamente e muoiono», come predicava Plinio il Vecchio, è l'inafferrabile protagonista del libro di Giuseppe Squillace, Gli inganni di Cleopatra. Fonti per lo studio dei profumi antichi (Olshki, pagg. X-194, euro 22), ricco di testimonianze e suggestivi aneddoti.

Come la «strategia olfattiva» messa in atto da Cleopatra, che riuscì a incantare Marco Antonio sia con la sontuosità della sua imbarcazione, sia con il profumo sprigionato sulle rive vicine grazie alle essenze bruciate sullo scafo. L'esito, inevitabile, di una tale, «integrale» seduzione fu la capitolazione di Antonio, che salì sulla barca: l'incantevole inizio della sua rovina. Un altro episodio in cui i profumi si rivelano fatali è raccontato da Valerio Massimo, secondo cui la «mollezza» dei Campani era stata fondamentale per la rivincita su Annibale: la sosta a Capua, con «i sontuosi banchetti, l'abuso dei piaceri carnali e la fragranza dei profumi», era riuscita ad attrarre un «condottiero vigilantissimo e un esercito irriducibile alla pigrizia e ai godimenti», e a condurli alla sconfitta. L'irresistibile passione per i profumi sarà fatale anche a Caio Plozio Planco che, proscritto dai triumviri, si farà «tradire nel suo rifugio da un acuto profumo che usava per il suo modo di vivere piuttosto rammollito». Ma le loro insidie non riuscivano a irretire tutti: sembra che l'imperatore Vespasiano, trovatosi di fronte un giovane che, profumatissimo, era andato a ringraziarlo per una prefettura, abbia detto: «Avrei preferito che tu puzzassi di aglio».

Nonostante le molte condanne, quella dei profumi era una vera arte, i cui segreti erano arrivati a Roma dalla Grecia, grazie al trattato Sugli odori di Teofrasto, di cui la Storia Naturale di Plinio presenta una sintesi. Plinio fa avido uso anche di altre opere di Teofrasto, raccontando, ad esempio, il sorprendente successo del pepe, «che non ha nulla per piacere né nel frutto né nella bacca, ma piace solo per il suo gusto amaro, e lo si va a cercare nell'India»; o del balsamo, il preferito fra tutti i profumi, che era concesso a una sola terra, la Giudea, e per cui i Romani avevano combattuto. A differenza di Teofrasto e Plinio, Dioscoride di Anazarbo, medico militare al seguito degli eserciti romani all'epoca di Nerone, parla anche degli ingredienti per ottenere gli oli aromatici, oltre a illustrarne gli usi terapeutici: da lui sappiamo che l'olio di mele cotogne era utile contro la forfora, i geloni e l'herpes, che l'olio di narciso, pur provocando mal di testa, era efficace contro i problemi all'utero e che quello di cinnamomo veniva applicato sulle punture degli scorpioni e dei ragni velenosi.

E profumi e oli erano naturalmente grandi protagonisti dei banchetti.

Come racconta Petronio descrivendo la sontuosa cena di Trimalcione che culmina nella messa in scena del finto funerale del padrone di casa: Trimalcione apre un'ampolla che conteneva olio di nardo, con cui unge gli ospiti, per poi aggiungere: «Spero mi piacerà da morto come mi piace ora da vivo».

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