L'ultima idea di Ugo Spirito: una Costituente anti-ladri

Alla fine degli anni '70 il filosofo che fu allievo di Gentile chiedeva ciò che oggi non si è ancora fatto

Nella seconda metà del 1977 venne pubblicato un libro di Ugo Spirito dal titolo Memorie di un incosciente (Rusconi) che si presentava come l'autobiografia intellettuale di uomo il quale - essendo nato nel 1896 e avendo ormai superato la boa degli ottanta anni - poteva, ben a ragione, vantarsi di offrire la «testimonianza di un secolo». Si trattava di un libro molto bello nel quale l'autore, con quel pizzico di ironico disincanto a lui proprio, indugiava con piacere sul passato non già come laudator temporis acti, ma con l'occhio di chi nel passato, e nelle negazioni dello stesso, vedeva, per usare il titolo di un suo saggio degli anni Sessanta, l'Inizio di una nuova epoca. La connessione fra passato, presente e futuro - il continuum, cioè, del divenire storico - è una caratteristica dell'attività speculativa di Spirito.

Questa correlazione è confermata anche dalla raccolta degli articoli scritti da Ugo Spirito per varie testate giornalistiche nell'ultima fase della sua vita, ora raccolti a cura di Danilo Breschi nel volume L'avvenire della globalizzazione (Luni Editrice, pagg. 400, euro 25). Si tratta di interventi sui più svariati temi, dai cosiddetti diritti civili ai problemi della giustizia, dall'università ridotta a «letamaio» al «fallimento del femminismo», dalle riforme costituzionali ai limiti di una società fondata sul mito dello scientismo e del progresso tecnologico e via dicendo. Il tutto, naturalmente, analizzato con quella prosa cristallina e quel rigore speculativo che hanno reso tutti i libri di Spirito, anche quelli più «tecnici», affascinanti e affabulatori. Non mancano, inoltre, in queste pagine gli approfondimenti di natura autobiografica e le considerazioni sulla filosofia - in particolare sulle «ambiguità» del pensiero di Gramsci e sulla figura di Giovanni Gentile - nonché sulla storia politica del Novecento tra fascismo e comunismo.

Cresciuto e formatosi nel clima del positivismo, con interessi per l'economia politica e il diritto penale, Spirito rimase colpito dalle lezioni di Giovanni Gentile e aderì alla sua filosofia l'attualismo, che gli parve avere un fondamento speculativo assai più critico e più persuasivo delle teorizzazioni positivistiche. Anche se il suo interesse continuò a ruotare attorno al sapere scientifico, ma con una «coscienza metafisica» corroborata da quel «valore assoluto» che, a suo parere, il positivismo non era stato in grado di assicurare.

Il rapporto con Gentile fu umano prima che filosofico. In uno degli scritti contenuti nel volume postumo, Spirito ricorda che Gentile, quand'egli lo conobbe, sembrava un personaggio «più ottocentesco che novecentesco» vestito «col tubino in testa e la redingote». Nello stesso testo aggiunge che Gentile era «dolce e paterno» al punto che egli, quando ne ascoltava le lezioni o conversava con lui, sentiva salire «le lacrime agli occhi»: «ero fanatico di lui: per lui avrei dato la vita».

Il sodalizio con Gentile e la scelta dell'attualismo come filosofia di riferimento significarono per Spirito anche l'incontro con il fascismo dal momento che tra attualismo e fascismo esisteva, a suo parere, una sostanziale unità di natura speculativa così forte da non consentire la separazione delle sorti dell'uno da quelle dell'altro. Peraltro ora, soprattutto dopo gli studi di Augusto Del Noce in materia, il rapporto tra filosofia attualistica e fascismo nei termini in cui lo aveva visto Spirito non sembra più discutibile, malgrado taluni tentativi di sostenere l'estraneità del pensiero di Gentile rispetto al fascismo e malgrado l'esistenza, all'interno del mondo fascista, di pur importanti posizioni speculative diverse dall'attualismo e, segnatamente, antigentiliane.

Il distacco fra Gentile e Spirito avvenne durante gli anni Trenta. Al convegno di studi corporativi di Ferrara del 1932, Spirito presentò una relazione sul tema della «corporazione proprietaria» che fu accusata di filo bolscevismo. Le sue tesi vennero sconfessate da Bottai malgrado il fatto che esse fossero state avallate dallo stesso capo del Governo. E anche Gentile prese le distanze dal suo discepolo. Poi, nel 1937, con il saggio intitolato La vita come ricerca, Spirito dette origine a una nuova filosofia, il cosiddetto «problematicismo», cui è rimasto legato il suo nome e che nasceva, a suo dire, come espressione della crisi dell'attualismo: stante l'unità di fascismo e attualismo, la nascita del problematicismo significava per lui anche la fine del fascismo, del suo fascismo, nel senso che la «rivoluzione» fascista si fermava per sempre.

La conoscenza di questo itinerario speculativo è fondamentale per comprendere, senza equivoci, gli articoli di Spirito raccolti nel suo volume postumo, scritti nell'arco di un decennio, fra il 1969 e il 1979. Si tratta di articoli nei quali ritornano molti dei temi sui quali egli si era soffermato a suo tempo - il corporativismo, il fascismo, il comunismo, il rapporto fra scienza e filosofia, la fiducia nel progresso e nella tecnica - e che spiegano come egli, nel secondo dopoguerra, avesse guardato con curiosità intellettuale e con atteggiamento simpatetico agli esperimenti comunisti. Tuttavia essi mostrano, anche, come egli si fosse reso conto, man mano che gli anni passavano, che il comunismo, nazionale e internazionale, avesse imboccato un vicolo cieco che lo avrebbe portato verso l'autodistruzione. Non è un caso che uno dei suoi ultimi volumi si intitolasse La fine del comunismo. E non è, ancora, un caso che uno degli articoli di questo bel volume proclamasse esplicitamente che, ormai, «il mondo va a destra» e che non è neppure più ipotizzabile «pensare a una rivoluzione comunista».

La lucidità, e la lungimiranza, delle analisi di Ugo Spirito appaiono evidenti negli articoli nei quali analizza criticamente la Costituzione italiana, che non esita a definire «reazionaria», e lo stesso sistema politico italiano, che favorisce la demagogia e il ladrocinio. C'è un suo scritto, in questo volume, che fin nel titolo denuncia il fatto che, ormai, «sono tutti ladri» perché «rubano tutti, a tutti i livelli, in alto e in basso» al punto che «il furto è diventato una regola». Il pessimismo di Spirito sembra senza appello: «Sono tutti ladri: tutti ladri, con nomi e cognomi, con o senza passaporto, con richieste di estradizioni e con asili più o meno a tempi duraturi. E ladri essi rimangono anche se sono sottoposti a processi che si prolungano al di là di ogni previsione. Saranno, sì assolti, o quasi assolti; ma ladri rimangono nella opinione di tutti: nell'opinione, soprattutto, di quel popolo che non può più dubitare». L'articolo è del 1978 e sembra riecheggiare le accuse di «cleptocrazia» che Gianfranco Miglio avrebbe rivolto al sistema politico italiano.

Eppure, malgrado il suo pessimismo, dovuto alla constatazione che la partitocrazia italiana aveva condotto allo sgretolamento dell'organismo statale e alla perdita della moralità politica, Ugo Spirito vedeva una possibile via d'uscita nella convocazione di una nuova Costituente che segnasse la fine della degenerazione partitocratica e la sostituzione di «un regime di incompetenti» con «un organismo di competenti».

Questo auspicio di una nuova Costituente, per quanto datato all'ultimo scorcio degli anni Settanta del secolo scorso, è sempre più attuale. E ha il sapore di un messaggio per un governo che voglia mettere finalmente in cantiere la questione delle riforme istituzionali.

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