L'onda rosa va cavalcata nel modo giusto, perché la risacca è pericolosa. Il circuito italiano dell'arte, salito sul carro del #timesup in ritardo rispetto a quanto succede in America, in Francia o in Inghilterra (dove persino alcune gallerie private, quindi a vocazione commerciale, hanno scelto di esporre solo artiste donne: è il caso di Richard Saltoun, il cui progetto 100%women durerà un anno), ha scelto diverse strategie per restare al passo con il dibattito esploso dopo lo scandalo del #metoo e la (legittima) richiesta da parte delle donne artiste di veder meglio rappresentati i propri talenti.
Il Comune di Milano, con il sindaco Beppe Sala e l'assessore alla Cultura Filippo Del Corno in testa, ha scelto la tecnica dell'iper art-attivismo: il cartellone delle mostre del 2020 (54 titoli!) sarà specificatamente dedicato «ai talenti delle donne». In agenda esposizioni di artiste di oggi, come la cubana dissidente Tania Bruguera, oppure di ieri, come Carla Accardi, Adriana Bisi Fabbri (la prima monografica su questa sagace illustratrice è ora al Museo del 900: merita) e la fotografa Tina Modotti e poi - perché i biglietti bisogna pur staccarli - mostre furbissime come le «Donne del Barocco» (da Artemisia Gentileschi a Sofonisba Anguissola). Pagherà, questa strategia? Vedremo. Altri hanno preferito cavalcare l'onda rosa col giubbotto di salvataggio: vale a dire con rassegne sì dedicate alla rappresentazione delle donne, ma come oggetto rappresentato, non come soggetto rappresentante: Palazzo Martinengo di Brescia, ad esempio, da gennaio ospiterà «Le donne nell'arte, da Tiziano a Boldini» e sarà di certo un bel vedere.
Vicenza ha giocato d'anticipo: nella Basilica Palladiana - nel cui gran salone è stato realizzato un nuovo allestimento, flessibile e riutilizzabile, con pareti componibili e autoportanti, a illuminazione integrata - vanno in scena gli anni Venti, quelli in cui le donne cominciano ad accorciarsi gonne e capelli, quelli della «stanza tutta per me» di Virginia Wolf e degli «abiti pratici» di Coco Chanel, quelli di Amelia Earhart, che sorvolò l'Atlantico in solitaria. E proprio di questa voglia d'indipendenza, di questi piaceri e bisogni parla «Ritratto di donna. Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi» (fino al 13 aprile): un percorso in sette sezioni con opere firmate dal vicentino Oppi - che per anni fu maestro nel fissare su tela volti e corpi femminili - e da tanti altri artisti a lui coevi come Felice Casorati, inarrivabile nell'eleganza, Massimo Campigli, Achille Funi, Mario Sironi. La curatrice Stefania Portinari ha scelto gli scritti pungenti di Massimo Bontempelli quali didascalie-guida e sovente è evocato lo spirito di Margherita Sarfatti, prima e potentissima critica d'arte nel nostro Paese.
La mostra è un'infilata mai noiosa di ritratti di signora, con un magnetico inizio grazie alla Giuditta II di Gustav Klimt in prestito da Ca' Pesaro, e alcune felici intuizioni narrative quali il triangolo amoroso tra Oppi, Picasso e la bella Fernande Olivier occhi da gatta, alla quale è dedicata una parete. Al cuore del percorso Le amiche, una tela del '24 di Oppi: i corpi possenti e fieri sono un inno al carattere femminile. Negli anni Venti le donne diventano creature mitiche (come nelle Amazzoni, sempre di Oppi) e perfette, come nell'inquietante Concerto di Casorati. Il doppio e lo specchio sono temi ricorrenti in pittura: è questo il realismo magico in salsa italiana, un misto di sorpresa e sospensione che prelude a un futuro per nulla sereno, di cui è maestro Cagnaccio di San Pietro. Brucia in fretta, il fuoco degli anni Venti, così come la parabola artistica di Oppi: il bel vicentino (era anche boxeur) coccolato dalla Sarfatti e Ojetti, sposatosi bene con una ricca milanese dopo la parentesi parigina da bohémien, si perde presto per strada.
L'Italia si sveglia bruscamente dai sogni di gloria, l'arte ora vuole pratiche certezze e anche certi abiti di Chanel all'improvviso vanno stretti: Oppi viene allontanato dalla moglie, torna a Vicenza, si rifugia nella pittura religiosa.
Un'ambigua visione chiude la mostra: è L'Adriatico, in cui Oppi ritrae alcune donne su una zattera in mezzo al mare. A noi resta il dubbio se stiano approdando su una nuova terra promessa o se stiano fuggendo chissà dove, chissà da che cosa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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