Emanuele Beluffi
Abbiamo incontrato Gianfranco Jannuzzo, di scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 19 marzo con la piéceAlla faccia vostra, con Debora Caprioglio.
Ci racconti un episodio OFF dei suoi inizi.
«È un ricordo della mia infanzia, che mi raccontarono mamma e papà: ero a Lugano con loro, avevo cinque anni e a un certo momento iniziai a cantare Chitarra romana, chiedendo a una delle orchestrine di accompagnarmi. Mamma e papà mi dissero che ero predestinato a fare l'attore. Questo aneddoto mi lega a due cose per me importantissime: la famiglia e il lavoro».
In Alla faccia vostra si parla di soldi, com'è il tuo rapporto col denaro?
«Non ci ho mai badato troppo. Ed è un peccato, perché quando sei giovane è giusto che sia così, ma col passare degli anni dovresti iniziare ad avere un rapporto più concreto coi soldi, ma io non ce la faccio. Forse sono solo molto generoso! Infatti il mio rapporto col denaro nella vita reale è molto diverso da quello del mio personaggio in scena. Il denaro ci condiziona, ci può far diventare avidi allo stesso modo in cui ci può trasformare in benefattori. Bisogna trovare la giusta misura».
Lei, siciliano doc, vive lontano dalla Sicilia, ma ha mantenuto un forte legame con la sua terra: che cos'è a sicilitudine? (Leonardo Sciascia)
«Mio padre era insegnante di Lettere e allora ad Agrigento non c'era l'Università: bisognava trovare una sede universitaria fra Palermo, Firenze e Roma, ma prima di compiere questo passo i miei vollero fare una riunione di famiglia con noi bambini. Avevo dodici anni ed ero il maggiore di cinque figli: lasciammo mamma e papà liberi di decidere, a patto di tornare tutte le estati in Sicilia.
La mia Sicilia mi mancherebbe come l'aria se non ci potessi andare così spesso come faccio tuttora. Noi Italiani siamo gente straordinaria, siamo tante culture che ne comprendono una, quella Italiana, anche se ogni tanto ce ne scordiamo.Continua su ilgiornaleoff.it
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