Benvenuti e De Bernardi, sceneggiatori storici della commedia all'italiana, si divertivano a operare una demarcazione tra attori credibili come «trombanti» e quelli «non trombanti». Non c'è dubbio che Renzo Montagnani (1930-1997), con la sua prolificità nella commedia sexy in ruoli sibaritici, fosse un «trombante» credibile, ma quale errore compiette la critica nel non riconoscergli la statura di attore importante. Il riconoscimento postumo però è arrivato ed è arrivata pure una raccolta di saggi, a cura del critico Domenico Palattella, dal titolo Renzo Montagnani. Un uomo libero (Editore Dellisanti).
A venticinque anni dalla scomparsa un equipaggio di studiosi, idealmente capitanato dal «nocchiere» Marco Giusti, prefatore del volume, ribadisce una verità scomoda: Montagnani aveva la stoffa dei Sordi e dei Mastroianni solo che era più sfortunato e meno oculato nell'autogestirsi. Era bravo quando interpretava opere di Miller, Svevo, Ginzburg. Ma era bravo uguale quando interpretava il borghese impattante sulle curve della Fenech e della Bouchet. Film come Fiorina la vacca e Cassiodoro il più duro del pretorio erano evasioni da un'Italia in crisi.
Fortuna che tra gli uomini di cultura come Indro Montanelli che lo volle in I sogni muoiono all'alba, e Mario Monicelli, che lo chiamò in Amici miei e tra i colleghi tipo Banfi e Buzzanca c'era chi gli voleva davvero bene, aiutandolo pure a lenire il dolore di un figlio afflitto da gravi problemi mentali.
Chissà quante volte, nell'affrontare i guai
terreni, avrà condiviso il pensiero del suo personaggio Don Fumino il quale, rivolgendosi al Padreterno, lo implorava così: «Padre Nostro che sei nei cieli, restaci; perché se metti piede in terra fanno diventar matto anche te».
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