"Ora mi reinvento in tv. Parlo di lirica ai giovani per farli appassionare"

Uno dei più grandi registi d'opera del mondo debutta su Rai5 con "Il volo del calabrone"

"Ora mi reinvento in tv. Parlo di lirica ai giovani per farli appassionare"

«Ogni crisi è un'opportunità. È l'occasione per vivere ciò che, altrimenti, non vivresti». Forse è perché è abituato a svelare il senso nascosto delle cose, che Damiano Michieletto trova il bello perfino dietro il brutto. Ecco allora come uno dei registi d'opera più acclamati al mondo, anche lui costretto ad abbandonare il palcoscenico, si reinventa autore televisivo. Dal 30 ogni giovedì alle 19,20 su Rai5, infatti, Michieletto presenterà Il volo del calabrone: sei appuntamenti con la lirica e alcuni suoi (imprevisti) cultori. «Non per gli appassionati dell'opera, dunque avverte il grande regista - ma per appassionare all'opera».

Già con una prima iniziativa, «La Fenice & Friends for Italy», lei incontrava su instagram celebri artisti lirici.

«E ora ho allargato il concetto ad un format più agile e smart, più divulgativo che settoriale, per provare a dimostrare, soprattutto ai giovani, che la cultura non è un parolone ostico, ma l'occasione per arricchire la propria sensibilità, per crescere attraverso la bellezza. Il tutto con un passo disimpegnato però imprevedibile, leggero. Come già nel titolo: perfino i rockettari conoscono Il volo del calabrone. Ma quasi nessuno sa che proviene da un'opera, La favola dello zar Saltan di Rimskij-Korsakov».

Come sarà strutturato il programma?

«Ad ogni puntata, realizzata online, un titolo celebre sul quale converserò con due ospiti, non necessariamente addetti ai lavori: attori o registi, di teatro o cinema, cantanti lirici o pop, scrittori o poeti. Partiremo da Falstaff, con l'attore Giuseppe Battiston (il Peppe di Perfetti sconosciuti) che ha interpretato il personaggio di Shakespeare, e il cantautore Vinicio Capossela, il cui stile da «perdente» s'imparenta a quello dell'antieroe verdiano. Seguiranno il Don Giovanni Orfeo, Cenerentola, Madama Butterfly, West Side Story».

Lei non è né vuol diventare - immagino - un intervistatore. Come imposterà allora queste conversazioni?

«Sull'ascolto. Sono stato intervistato molte volte. E in troppe ho notato che, mentre io rispondevo ad una domanda, l'intervistatore neppure mi ascoltava, già pensava alla successiva. Ma, se sai ascoltare, l'incontro diventa arricchimento. E la conoscenza arriva sempre in una forma e da una persona che non ti aspetti».

Come a dire: anche dall'impossibilità di fare teatro può nascere una forma cultura teatrale?

«Mi hanno colpito le parole del grande Peter Brook: non possiamo comunicare da un palco? Allora facciamolo con qualunque mezzo che porti allo stesso obbiettivo: emozionare il pubblico. E poi sentivo di dover dare un senso a questa inattività. Sono quindici anni che corro freneticamente per il mondo: quattro spettacoli in media ogni anno, senza contare le riprese. Lo stop brusco ed improvviso, non lo nascondo, mi ha messo in crisi. Ma tutte le crisi ti pongono davanti un bivio».

Lo stop ha fermato alla vigilia del debutto la Salomè della Scala diretta da Chailly. La vedremo, prima o poi?

«Questo è stato un vero dolore, per me: lo spettacolo era pronto, e mi sembra anche stesse venendo molto bene. Nascerà senz'altro: con poche prove si potrà certamente varare. Ma quando difficile dirlo. Del resto, grazie al Covid-19, sono saltati molti miei spettacoli: la ripresa per Torino della Damnation de Faust; la prima alla Fenice del Rigoletto fatto per Londra; il mio debutto a Caracalla con La Vedova allegra e il nuovo Rosenkavalier che sarebbe dovuto andare in scena a Bruxelles, proprio in questi giorni».

Dopo quindi anni il pubblico si scandalizza ancora per le sue regie? O è diventato infine suo complice?

«Come tutti

anch'io non sempre riesco a centrare uno spettacolo. Ma ho sempre cercato di essere coerente. Oggi non rifarei più le cose che facevo quindici anni fa ma penso che il pubblico sappia che ci metto il massimo dell'impegno».

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